Roberto Saviano al processo contro Gomorra: “Non ce la faccio più, voglio andarmene dall’Italia”


Roberto Saviano interrogato dal PM durate l’ennesima seduta del processo Spartacus sfoga tutto il suo malessere di uomo costantemente sotto scorta. Il sito Blogosfere.it così racconta l’intera vicenda.

E’ entrato in Tribunale, a Napoli, assediato da giornalisti e fotografi, pronti ad immortalarlo laddove sono cominciati i guai; i paradossi della vita a volte fanno sorridere, altre volte tingono di grigio il candore della propria esistenza: Roberto Saviano, che ha deposto come persona offesa in tribunale a Napoli.

Galeotto fu il processo Spartacus e quelle minacce, lanciate dagli avvocati Carmine D’Aniello e Michele Santonastaso (anche loro imputati) a nome dei boss Francesco Bidognetti e Antonio Iovine (tutti imputati per minacce e violenza privata), rivolte proprio a Saviano, minacce che gli costarono la scorta, la perdita della libertà, un cambiamento nel proprio stile di vita inaccettabile, a chi ha meno di trent’anni.

Per quelle stesse minacce la giornalista (e senatrice del Partito Democratico) Rosaria Capacchione è stata ascoltata la scorsa settimana, anch’ella come parte offesa, e verranno sentiti anche i magistrati Raffaele Cantone e Federico Cafiero de Raho: oggi è toccato a Roberto Saviano, il bersaglio mobile della camorra casalese, che in aula ha raccontato per filo e per segno come è cambiata la sua vita: la presentazione di Gomorra a Casal di Principe, la scorta di Bertinotti che gli ingiunge di salire in auto con loro (lo scrittore avrebbe dovuto recarsi a Napoli in treno, da solo), le minacce in udienza, la vita che cambia per sempre.

“Immagino che la mia vita possa essere libera solo all’estero, in Paesi che possano darmi un’altra identità, così che possa permettermi una vita nuova che comincia da zero. […] Ho la sensazione di essere un reduce dopo una battaglia. Vivevo a Napoli e immaginavo la possibilità di una carriera universitaria. I rapporti con i miei familiari sono diventati complicati. Il progressivo aumento della scorta rende difficilissima la vita quotidiana. Non esistono passeggiate, nessuna forma di vita normale, non posso prendere il treno né la metropolitana o scegliere un ristorante senza concordarlo con la scorta. […]
Non ce la faccio più ed ho chiesto ad un ufficiale dei carabinieri di togliermi la scorta, mi hanno risposto: ‘non ci pensare nemmeno’.”

Il tutto davanti a quegli avvocati della difesa che, in Aula, decidono di spostare il boccino del gioco su un altro campo, ricordando quel recente processo per plagio, le querele subite dallo stesso Saviano, cosa che ha scatenato l’ira del pm Ardituro, che ha ricordato come in questo processo l’imputato non sia lo scrittore.

Non è la prima volta che Roberto Saviano esprime l’angoscia perenne della sua condizione “carceraria” di vita quotidiana, come non è la prima volta che paventa la possibilità di andare all’estero, con una nuova identità, in cerca di una nuova vita: ci aveva provato a New York durante il periodo di #occupyWallStreet, un periodo che traspare dalle pagine dell’ultimo romanzo come “sereno e felice”.


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