Flash mob dei commercianti di Chiaia contro le chiusure: “Ci hanno lasciati in mutande”


Una lunga catena umana che parte da via Filangieri e attraversa via dei Mille: così i commercianti di Chiaia, a Napoli, hanno voluto manifestare per chiedere di riaprire le proprie attività in sicurezza. E’ stato ribattezzato il “flash mob della mutanda”, per la scelta di scendere in piazza portando capi di abbigliamento intimo, a sottolineare le forti difficoltà che sta vivendo il comparto del commercio a causa delle restrizioni anti-covid, nonché l’assenza di una logica coerente dietro la scelta di tenere chiuse determinate attività, a fronte di altre rimaste aperte.

 A NAPOLI VA DI SCENA IL FLASH MOB DELLA MUTANDA

Il senso di questa protesta è far capire che sta diventando una guerra tra categorie merceologiche” – esordisce Maura Pane, titolare di un negozio di abbigliamento e di accessori – “Perché noi restiamo chiusi insieme alle gioiellerie e ai negozi di calzature, mentre tutti gli altri rimangono aperti, dall’intimo agli articoli sportivi. Non si comprende la logica alla base di tutto questo. I dipendenti che lavorano con noi da anni sono delle famiglie allargate aziendali, in questo momento sono a casa e percepiscono la cassa integrazione solo dopo mesi”.

Un momento della catena umana a Chiaia

Claudia Catapano, presidente di ‘Chiaia District’ che riunisce svariate attività del quartiere, racconta la sua situazione: “Ho diversi negozi, cinque di abbigliamento e due di oggetti per la casa. Con me lavorano dodici dipendenti, di cui la maggior parte sono in cassa integrazione. Già nei mesi precedenti siamo riusciti a restare aperti rispettando tutte le regole imposte per il contenimento della pandemia, possiamo fare la stessa cosa anche oggi. Dobbiamo imparare a convivere con questa malattia, non si può rimanere chiusi ad oltranza”.

Le preoccupazioni e le rivendicazioni sono le stesse che animano tutti gli altri settori della filiera commerciale, dai ristoratori ai barbieri, fino ai mercatali. Persone che scendono in piazza ormai da settimane, chiedendo di poter riaprire le proprie attività. Oltre al personale dipendente, verso il quale sopperisce in parte la cassa integrazione, ci sono le tasse e i fitti da pagare, sui quali non c’è ristoro che tenga. Alle difficoltà economiche si aggiunge negli ultimi tempi anche la poca propensione ai consumi. “Il commercio si è fermato anche perché le persone hanno paura di uscire, e quindi arriva meno clientela nei nostri negozi” afferma Margherita Catinali, titolare di ‘Vintachic’. A confermarlo è anche Claudia Ciardulli, proprietaria dell’omonima gioielleria: “Io potrei fare anche produzione di oro, ma in giro non c’è il desiderio delle persone di uscire, manca l’entusiasmo, e nonostante tutto noi dobbiamo continuare a pagare i fitti dei locali e delle merci”.

Carla della Corte, presidente di Confcommercio, snocciola un po’ di cifre: “Nel solo 2020 hanno chiuso cinquemila negozi, e altrettanti ne chiuderanno nel 2021 se non ci riaprono, sei mesi di chiusura sono troppi. I costi fissi sono rimasti gli stessi e le entrate sono diminuite per il 70 per cento per l’abbigliamento e per il 40 per cento per le gioiellerie. Il terziario in Italia rappresenta il 60 per cento del Pil, a fronte di sostegni che sono stati assolutamente irrisori. Proprio perché il nostro rimane un Paese che non è in grado di ristorare tutti, chiediamo di poter riaprire le attività”.


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