Napoli, arrivati 56 profughi ucraini. Le mamme in lacrime: “I nostri figli hanno paura”


Sono arrivati a Napoli i primi profughi provenienti dall’Ucraina che, tra le lacrime, hanno raccontato i terribili attimi vissuti a seguito dell’invasione russa. Partito da Leopoli all’alba di venerdì, il bus è arrivato in via Galileo Ferraris portando in salvo 56 persone, soprattutto donne e bambini, accolte da familiari e conoscenti che risiedono in Campania.

Napoli, arrivati i primi profughi provenienti dall’Ucraina

In un servizio di Anna Laura De Rosa e Antonio Di Costanzo, per ‘La Repubblica’, le donne ucraine giunte nella città partenopea per mettere in salvo i propri bambini hanno reso le loro drammatiche testimonianze su quanto sta accadendo nel loro Paese d’origine.

C’è chi tra le lacrime denuncia ‘non ci sono parole’ e chi è in pena per i propri bambini come una donna che racconta: “Hanno sentito spari e bombe, non capiscono cosa sta succedendo però piangono. Ho quattro bambini, la più piccola ha un anno”.

Tra i piccoli anche una bimba affetta da Sma. Stando a quanto raccontato sua madre avrebbe deciso di partire all’ultimo minuto per non lasciare solo suo marito ma alla fine ha prevalso la preoccupazione per i suoi bambini ed è partita.

Ancora una donna ha raccontato di aver visto la paura negli occhi dei suoi bambini: “Per me è indifferente, potevo restare anche in Ucraina ma dovevo salvare i miei figli. Siamo tutti esseri umani, aiutateci. I nostri figli hanno paura, la notte non dormiamo, ci nascondiamo nelle cantine con bambini piccolini. Noi vogliamo solo vivere tranquilli nel nostro Paese. Vogliamo tornarci ma non possiamo”.

“Il nostro Paese è rimasto da solo con un nemico così enorme, speriamo che finisca presto tutto quanto” – invoca una donna giunta sul posto per accogliere i suoi familiari. Intanto, anche il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, è intervenuto a sostegno della popolazione ucraina. La Regione Campania metterà a disposizione farmaci e aiuti alimentari, oltre ad accogliere nelle strutture sanitarie cittadini e soprattutto bambini provenienti dalle zone prese di mira dall’esercito russo.


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