A Bagnoli le cose non tornano. II parte


Più si legge il decreto Renzi per il commissariamento di Bagnoli, più si osservano le filippiche tra Comune, Regione e Governo centrale, più i sospetti intorno a un enorme, megalitico e complesso, conflitto di interessi diventano più che sospetti. Ciò che in “A Bagnoli le cose non tornano” avevamo cercato di porre in evidenza, era il legame tra imprenditoria e politica. Ciò su cui solleticavamo l’interesse dei vesuviani è su quell’intreccio di relazioni che ponevano, se non rapporti di continuità, dei rapporti di contiguità tra politica nazionale e un certo capitalismo rampante.

Ciò che adesso veramente ci spaventa è ciò che predicemmo in un nostro precedente articolo, e cioè che durante le indagini in corso sull’incendio doloso di Città della Scienza, qualcuno avrebbe sì depistato la cittadinanza, ma avrebbe commesso anche qualche errore da garzone, totalmente a svantaggio nostro e di chi ci vive a Bagnoli. Renzi dimostra sempre di più un forte legame con Bagnoli, e l’accusa di bonapartismo che molte testate giornalistiche, come il Corriere del Mezzogiorno, giustamente gridano non fa che suscitare una smorfia di sapere sui nostri volti, amara sì, ma sempre più ricca di riferimenti e rimandi, associazioni e coincidenze.

Il decreto Renzi per Bagnoli riduce in pezzi la presa democratica dei cittadini sul governo del territorio e, addirittura, forclude e retroagisce l’amministrazione comunale nella scelta del commissario. Ciò che sicuramente non piace ai comitati cittadini è il fatto che la proprietà dei terreni passerebbe dal Comune al Commissariamento, che per definizione è un’istituzione autoritaria, di emergenza, quasi come fu Cesare ai suoi tempi, che per difendere la Repubblica passò il Rubicone, e di lì inaugurò l’età imperiale.

Sempre più la puzza di un conflitto d’interessi, che coinvolgerebbe il primo ministro non eletto e alcuni imprenditori, raggiunge le nostre narici e ci suscita il pensiero e l’interrogazione: perché tutta questa velocità nel mandare avanti il progetto per Bagnoli Futura con le indagini ancora in corso? Perché l’interesse sproporzionato del governo centrale per una realtà, tuttavia, locale? Perché staccare l’assegno per i fondi il 14 agosto scorso, nel più vuoto dibattito mediatico alle soglie di Ferragosto? Perché scegliere nuovamente il decreto per una operazione che avrebbe richiesto, addirittura, l’incontro e il confronto con le parti sociali e i comitati cittadini per Bagnoli? Perché tra le tante emergenze meridionali finanziare nello Sblocca-Italia, tra le pochissime cose d’interesse campano, la ricostruzione edilizia a Bagnoli? Perché ancora tutto questo interesse del governo centrale per un comparto industriale non solo in crisi, ma ormai abbastanza inopportuno, in Italia: il cemento?

Bagnoli

Come ci faceva intendere l’articolo di Franco Fracassi su Globalist.it di qualche mese fa, perché dietro Bagnoli ci sono i finanziatori delle campagne elettorali e mediatiche di Renzi? Perché dietro il Berlusconismo renziano c’è un capitalismo molto aggressivo di nuovo genere, arricchito con l’ultima crisi mondiale?  Perché dietro Renzi scorgiamo F. G. Caltagirone e la compagnia dei costruttori? Perché compare sempre più spesso il nome Cementir quando indaghiamo intorno Bagnoli, Renzi, e speculazioni?

 

Lo scenario di Bagnoli si fa sempre più fosco e preoccupante, in compenso è un intreccio sintomatico per capire la situazione politica italiana oggi; ma quanto ci costerà questo valore teorico per questa realtà in termini sociali e di svolta autoritaria della repubblica italiana?

Monti ci aveva fatto scuola di bonapartismo tecnocratico? Sicuramente sì.


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