L’ANNUNCIO/ “La Maschera” si scioglie, fan increduli: per Napoli sono stati una “rivoluzione musicale”

La Maschera, annunciato lo scioglimento del gruppo


“La Maschera” si scioglie: è l’ultima nota di una storia che ha fatto cantare, pensare e amare Napoli e non solo, accompagnando la città fuori dagli stereotipi mantenendo la sua identità.

La Maschera si scioglie, l’annuncio arriva sui social

Dodici anni di musica, parole e sogni. Dodici anni in cui Napoli ha avuto una voce nuova, autentica, libera. Ora quella voce si ferma. E il silenzio pesa come un addio che non volevamo ascoltare.

Lo ha annunciato Roberto Colella, frontman e anima de La Maschera, con parole dense, fragili, vere. Una decisione difficile, maturata nel dolore di un legame che si è spezzato, un’amicizia profonda che si è incrinata, lasciando spazio a una chiusura inevitabile.

“Sciogliere La Maschera è stata una mia decisione”, scrive. E dentro quella frase c’è tutto il peso di un viaggio che cambia direzione, anche se il cuore avrebbe voluto restare.

Dodici anni di storia, tra rabbia e bellezza

Ci resta il suono di quegli strumenti che raccontavano storie di strada, di Sud, di rabbia e bellezza. La voce ruvida e limpida di Roberto Colella, i ritmi mescolati tra Napoli e il mondo, le parole che sembravano scritte per ognuno di noi. Canzoni come Pullecenella, Te vengo a cercà, La Confessione, che non erano solo musica: erano identità, appartenenza, resistenza.

Non sarà azzardato, concedetecelo, il paragone con uno degli immensi della napoletanità: Pino Daniele. Di mezzo ci sono storie ed epoche diverse, generazioni e sonorità in evoluzione, il pugno nello stomaco del presente nell’entusiasmo dei concerti della Maschera e la velata nostalgia dei ricordi in quelle poesie immortali di Pino.

La maschera live acoustic

Ma la musica è – soprattutto – emozione, e come si fa a distinguere, centellinare, scindere due vibrazioni lungo la schiena che ad oggi appaiono così terribilmente simili?

“Non ho risposte su che forma avrà il mio percorso artistico in futuro. Ma so che continuerò a scrivere e suonare”, scrive Roberto Colella. Chissà che il parallelismo con il grande Pino non continui in questo, nel chiudere l’esperienza di gruppo per diventare leggenda da solista, come fu con Napoli Centrale. Una bomba che esplode lanciando nel panorama artistico schegge di musica.

Perchè “La Maschera” è stata importante per Napoli

Il panorama artistico, appunto. Napoli è orfana e quasi schiava di miti del passato, almeno per quanto riguarda quei suoni “duri”. Il già citato Pino Daniele, per esempio, ma anche Edoardo Bennato o De Crescenzo, che hanno insegnato all’Italia e al mondo che sappiamo fare musica pure senza il mandolino.

Dagli anni ’90, in pratica, la scelta musicale per quanto qualitativamente e strumentalmente indiscutibile, a determinati livelli si era divisa in due, in una sorta di doppia piramide rovesciata.

Da una parte, Gigi D’Alessio ed uno stuolo di fedelissimi cantori del pop napoletano (Finizio, Sal Da Vinci, Gianni Fiorellino, solo per citarne alcuni), man mano estendendosi al panorama delle miriadi di artisti più o meno emersi dalle paludi del neomelodico.

Dall’altra, con un termine erroneamente inclusivo, i rappers, gli esponenti delle periferie in cerca di riscatto, che completano il quadro e questa ideale piramide perfetta con il fenomeno Geolier.

Invece, “bell’e buono”, 12 anni fa La Maschera: passo dopo passo, diede coraggio a quell’alternativa che non sapeva stare né da una parte, né dall’altra. Quelli ai quali non piacciono i vestiti troppo stretti, né quelli troppo larghi. Dando coraggio a tanti altri autori e musicisti per quella piccola “rivoluzione indie” che, così, ha trovato spazio pure nella città del mandolino. Dai localini minuscoli del centro storico, fino a riempire Palapartenope, teatri e Piazza Plebiscito.

L’ultimo “giro” di concerti

Adesso resta l’eco. Resta l’ultima tournée, quel “giro di concerti” che è stato già annunciato, che partirà il 7 giugno da San Giuseppe Vesuviano e che sa di saluto e di gratitudine, l’ultimo abbraccio tra palco e pubblico. Resta la nostalgia per ciò che è stato e (diciamo “forse”) non tornerà, ma anche la gratitudine per ciò che ci è stato donato. Perché tutti meritano una speranza a tempo di tamburo.

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