“Gomorra-La Serie” pagava il pizzo ai boss: dov’è adesso Saviano?


Il boss Francesco Gallo e i suoi genitori, Raffaele e Annunziata De Simone, sono stati condannati in primo grado a otto anni di reclusione per estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di Cattleya, la società di produzione di Gomorra-La Serie. La casa del boss fu scelta per essere la dimora di Pietro Savastano e famiglia, al prezzo di 30mila Euro divisi in rate da 6000: dopo aver pagato secondo contratto le prime due, Francesco Gallo fu arrestato, la casa sequestrata e dunque le rimanenti rate dovevano essere pagate allo Stato; Cattleya versò la terza tranche nelle casse pubbliche, ma dato che i Gallo non ci stavano versò altri 6mila Euro, in nero, al clan di Torre Annunziata: questa la ricostruzione dei giudici in primo grado.

Il produttore esecutivo Matteo De Laurentiis affermò, come emerso dalle intercettazioni:“Vai con la polizia a girare? E se ti bruciano, ti fanno un attentato, che succede poi?”; mentre lo sceneggiatore Pasquale Meduri ebbe a dire: “Speriamo che glieli sbloccano, anche perché a regalarli allo Stato così a cazzo di cane, è meglio che se li prendono Franco e i suoi. Il gip Marina Cimma ha parlato di comportamento riprovevole da parte dello staff della serie TV, che va oltre  l’omertà e la reticenza:

“La vicenda è collegata a una produzione televisiva che dovrebbe divulgare la conoscenza del fenomeno criminale della camorra, e dunque stigmatizzarla pubblicamente”, e tuttavia gli indagati hanno palesato una sorta di comprensione alle ‘ragioni’ del clan e forte insofferenza verso l’azione di contrasto dell’Autorità giudiziaria.

Come si può perciò intuire Gomorra avrebbe fatto il tifo proprio per la camorra, cosa che fa ridere se si pensa alle parole di Roberto Saviano, il quale ha dichiarato in una delle sue tante difese pubbliche che la serie serve a denunciare il male, per estirparlo. Noi e tanti altri glielo abbiamo detto che Gomorra, oltre a mostrare una realtà non vera, enfatizzava troppo e assurgeva, soprattutto nei giovani, le figure camorristiche del prodotto televisivo a modelli di comportamento e di essere: quel fascino oscuro l’avrebbe subìto anche chi l’ha realizzata la serie, compreso lo sceneggiatore, quello che ha scritto i dialoghi.

Ovviamente gli uomini dello staff di Gomorra non hanno denunciato il clan Gallo, e nel processo la Cattleya non si è costituita parte civile, non si è messa contro la malavita, e i suoi uomini sono accusati di favoreggiamento: dov’è adesso Roberto Saviano? Dove sono le sue morali, le sue critiche, le sue condanne, i suoi processi all’omertà, il suo sdegno? Sempre in prima linea a parlare di Napoli, della sua gente, in toni cupi e rassegnati, mortificanti, adesso fa silenzio, sta zitto, non lo dice che bisogna denunciare, denunciare e ancora denunciare, non abbassarsi, non piegarsi. No, a Saviano non interessa, gli importa però attaccare i giudici che hanno assolto i boss Bidognetti e Iovine dall’accusa di aver minacciato egli e Rosaria Capacchione, condannando invece per quelle minacce l’avvocato dei capoclan: la Capacchione ha riconosciuto la giustezza della sentenza, dicendo che il camorrista si può presentare anche vestito bene e parlando in modo forbito, criticando ella stessa Roberto poiché incapace di vedere la mafia al di là dello stereotipo dell’omone feroce, armato, ignorante, sgrammaticato.

La mafia si combatte seriamente, per strada e nelle aule di tribunale, sulla carta stampata e sui libri, non nei film, nelle serie TV, in Televisione, non gonfiando situazioni che non si conoscono più e attaccando la popolazione, la gente comune, la quale fino a prova contraria è la vittima per eccellenza della malavita. La mafia è viva perché è prepotente, può agire indisturbata, ha i soldi: lì bisogna guardare, nello sfarzo, nelle ville e negli alberghi di lusso, nei macchinoni, nei gioielli: nella miseria ci solo miseria e lacrime, di più non trovi.


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