In Napoletano “cachi” si dice “legnasanta”: ecco perché


In precedenti articoli vi abbiamo spiegato le origini dei termini vasinicola, cresommola cerasa, evidenziando la loro provenienza dalla Lingua Greca antica. Stavolta parliamo invece della legnasanta, ovvero del cachi, un frutto che è giunto in America e in Europa, dall’Asia, relativamente poco tempo fa, nell’Ottocento; il suo nome scientifico è Diospyros kaki, con “diospyros” che vuol dire, in greco antico, “frutto degli dèi”.

I cinesi lo conoscono da più di duemila anni e chiamano la pianta “albero delle sette virtù”, ovvero la longevità, la resistenza ai parassiti, la bellezza delle foglie in autunno, l’ombra che dànno, l’abbondanza di foglie che cadendo concimano il terreno, l’essere ideale per gli uccelli che vogliano costruire un nido, il bel fuoco che scaturisce dal suo legno.

In Italia sono diffusi soprattutto in Emilia-Romagna, Sicilia e Campania, dove in autunno inondano le tavole con la loro dolcezza, tanto da essere vietato a chi ha problemi di diabete e di peso. Ma perché in Napoletano viene detto legnasanta?

Per accertarlo potete fare un esperimento, che consiste nel prendere un frutto, uno di quelli sodi, e tagliarlo a metà, dall’alto in basso, e guardare bene la placenta, ossia la parte di colore bianco, la cui forma è simile a quella di Gesù Cristo sulla croce. Certo, in qualcuno si vede bene, in altri un po’ meno, però si può notare sempre una parte inferiore oblunga che si dirama verso l’alto, e ancora del bianco tra le due “braccia”, a formare la testa.

Sarebbe questo il motivo per cui il frutto ha preso tale nome, ossia la figura che si scorge all’interno del frutto. È inoltre interessante notare come in Spagnolo il frutto, oltre a “caqui” o “kaki”, venga chiamato anche palo santo, come in napoletano. È dunque possibile che lo Spagnolo abbia influenzato in Napoletano o viceversa.


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