Mario Lo Russo, boss dei “Capitoni”, racconta: “Soldi, viaggi e lusso. Ma avevo paura di morire”


Di soldi ne giravano tanti, tantissimi. Ma correvano veloci come la paura. A quella nessuno è immune, neppure un boss della camorra. Le prime dichiarazioni di Mario Lo Russo, boss de I Capitoni di Miano, rese davanti al pubblico ministero Enrica Parascandolo della Dda e ai due investigatori carabinieri presenti nella sala colloqui del carcere milanese di Opera, disegnano l’altro volto della camorra. Quella che agisce, uccide, ma si sente anche indifesa.

Nelle confessioni del boss, che ha iniziato a collaborare con la giustizia lo scorso 15 aprile, c’è un quadro molto chiaro della situazione di comando della famiglia  Lo Russo. Questi alcuni stralci delle sue prime dichiarazioni, pubblicate da Il Mattino: “Entravano in cassa circa 500mila euro al mese. Io prendevo 5mila euro a settimana, la moglie di mio fratello Carlo, da detenuto, 3mila. Per gli altri le mesate variavano da mille a 2mila euro a seconda del ruolo all’interno del clan e del numero di familiari a carico. I capi potevano permettersi un regalo da 100mila euro per festeggiare la scarcerazione e le mogli la dolce vita tra griffe, puntate al Bingo e serate da jet set…Di recente la moglie di Salvatore e mia moglie sono andate insieme al Festival di Sanremo…Quando il 13 aprile 2013 fui scarcerato mio nipote Tonino mi regalò 100mila euro in contanti. Apprezzai il gesto e accettai, ma non mi fidavo di lui, sapevo che sarebbe stato capace di uccidermi come aveva fatto con il cognato di mio fratello…”.

Dalle parole di Mario Lo Russo, sembra che Tonino (figlio di Salvatore lo Russo, fratello di Mario, anche lui pentito) avesse in mano le redini del gioco. Mario lo sapeva e aveva paura. Temeva un agguato, sapeva che chi sceglie la strada della camorra non delimita vita e morte. E non si fa scrupoli neppure a sporcarsi le mani in famiglia: “A Miano Tonino arrivava all’improvviso e incontrava solo Lelè e Gigiotto di cui si fidava. Non me. Ognuno di noi era diffidente dell’altro. Dopo il pentimento di mio fratello Salvatore avrei voluto estrometterlo perché, in quanto figlio di un pentito, per me non avrebbe dovuto più comandare…Quando Tonino mi dava appuntamento temevo che fosse una trappola, ma non potevo disertare… una volta ci andai con mia moglie e mia figlia. Gli incontri avvenivano in case di campagna nel Nolano, abitate da gente del posto…Tonino comandava anche da latitante. Tutto si muoveva in base a quello che lui decideva: droga, sale scommesse, i soldi degli ospedali. Anche gli omicidi… Dopo la scarcerazione mi accontentai di 5mila euro a settimana perché il controllo di tutto lo teneva Tonino con i suoi fedelissimi e io ero considerato un pensionato. Aspettavo che li arrestassero per riprendere la gestione. Ho fatto buon viso a cattivo gioco…”.

Tonino Lo Russo, oltre che per le vicende camorristiche, è “noto” per essere apparso a bordo campo allo stadio San Paolo, da latitante. Fu poi arrestato a Nizza nel 2013.


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI