L’impressione di gran parte degli italiani è che i governi, quello nazionale come quelli regionali, non sappiano assolutamente dove andare a parare. Appena si è visto che i contagi cominciavano a salire si è andati verso le restrizioni, le chiusure pressoché indiscriminate.
Il punto debole della nazione, si sa, nell’emergenza coronavirus è costituito da una sanità pubblica che in venti anni è stata smantellata e distrutta in favore di quella privata, non in grado però di garantire gli stessi servizi. I posti in terapia intensiva sono stati decimati. Per distribuire favori a destra e a manca, usanza tipicamente italiana, non si è pensato che quelle scelte potevano costare la vita delle persone. Altro punto debole è quello dei trasporti, è lì che si creano gli assembramenti più pericolosi. Già insufficienti in tempo normali, con la capienza ridotta la situazione è ulteriormente peggiorata.
La risposta del nostro Paese a tali criticità è quello di chiudere. Gli amministratori vietano, perché vietare è facile, ma questo saprebbero farlo tutti: costoro invece sono stati votati per trovare soluzioni attive, per fare. In otto mesi di pandemia non sono riusciti a migliorare in modo sensibile i settori chiave. È vero che altre nazioni hanno già messo in campo misure molto restrittive, ma queste non vengono da un lockdown primaverile come quello italiano, fatto di lacrime e sangue. Un sacrificio così immenso, un comportamento esemplare di tutta la popolazione, meritava risposte diverse. Ed invece si scarica ancora sui cittadini l’incompetenza di chi detiene il potere.