Il piano di Trump per Gaza è un progetto coloniale: la Palestina non sarà libera e non ci sarà pace
Set 30, 2025 - Francesco Pipitone
Benjamin Netanyahu e Donald Trump
Dopo aver sterminato decine di miglia di palestinesi, Trump e Netanyahu si mettono d’accordo per spartirsi la Striscia di Gaza ed hanno la faccia tosta (come se potesse mancare ad un genocida e il suo compare) di chiamarlo piano per la pace. Una contrattazione in cui Hamas non è mai stata coinvolta. Un paradosso solo apparente, poiché si tratta appunto di spartizione effettuata da due potenze straniere che dispongono di un territorio conquistato o che credono di aver conquistato.
Apparentemente il piano è solo un pretesto ideato per incassare il no di Hamas e le rimostranze dell’Autorità Palestinese, così che Israele sia autorizzato a “completare il lavoro”, come precisato da Netanyahu. A quel punto avverrebbe la pulizia etnica programmata e sistematica, presupposto della realizzazione del resort per turisti milionari immaginato dal presidente americano.
Il piano di Trump per Gaza non può portare alla pace
Dietro la cornice apparente della “pace perenne” annunciata da Donald Trump si muove un disegno fatto di equilibri fragili e grandi affari. Alla Casa Bianca, il presidente statunitense ha presentato un piano in venti punti, concordato con Benjamin Netanyahu, che dovrebbe segnare l’inizio di una nuova fase per Gaza.
Secondo le parole del tycoon, si tratta di “uno dei giorni più belli della storia della civiltà”, con promesse di cessate il fuoco, liberazione degli ostaggi e accesso agli aiuti umanitari. Ma dietro l’enfasi della conferenza stampa si intravede un progetto di ricostruzione da miliardi di dollari che ridisegnerà il futuro della Striscia sotto una supervisione internazionale guidata da Washington.
Board of Peace, un piano che divide
Il progetto prevede la nascita del “Board of Peace”, un organismo di gestione della ricostruzione che vedrà Trump come presidente onorario e il coinvolgimento di figure internazionali come Tony Blair. La cornice sembra più quella di una nuova colonizzazione mascherata che non di un reale percorso di liberazione.
La logica è chiara: togliere ai palestinesi il controllo diretto della ricostruzione, considerata troppo redditizia per essere lasciata a loro. Hamas, da parte sua, non ha ancora ricevuto il documento ufficiale, ma già respinge come irricevibile la richiesta di disarmo in assenza di uno Stato palestinese riconosciuto.
Netanyahu tra consenso interno e pressioni esterne
Netanyahu ha accolto con favore il piano di Trump, sottolineando come rifletta “le priorità del governo israeliano”: liberazione degli ostaggi, disarmo di Hamas e presenza permanente dell’esercito ai confini di Gaza. Una visione che garantisce sicurezza a Israele, ma cancella di fatto l’idea di una Gaza libera e autonoma.
Il premier israeliano, però, deve fare i conti con un quadro interno complicato: le famiglie degli ostaggi chiedono un accordo rapido, mentre l’ultradestra di governo rifiuta qualsiasi concessione. Anche i coloni spingono per trasformare la guerra in un’opportunità di annessione della Cisgiordania, lasciando Netanyahu in un equilibrio sempre più fragile.
Diplomazia in bilico tra Golfo e Stati Uniti
Sul fronte internazionale, il ruolo degli alleati arabi si rivela decisivo. Trump ha avuto colloqui con l’emiro del Qatar, Tamim Al-Thani, ottenendo una distensione dopo le tensioni seguite al raid israeliano su Doha. Lo stesso Netanyahu ha dovuto scusarsi direttamente con il premier qatariota, promettendo che episodi simili non si ripeteranno.
Ma la frustrazione cresce: anche a Washington serpeggia il malcontento verso Netanyahu. “Tutti sono esasperati da Bibi”, ha confidato una fonte vicina all’amministrazione statunitense. Una frase che rivela quanto la tenuta del piano non dipenda solo dai proclami, ma dalla capacità di Israele di rispettare impegni che, al momento, restano lontani dall’essere condivisi.
