Il più grande neurochirurgo di New York è campano


È campano Antonio Bernardo, nativo di Maddaloni, ed è una tra personalità mondiali più considerevoli nell’ambito della neurosurgery, ossia nella chirurgia della base cranica. Il neurochirurgo nostrano, attualmente trapiantato a New York, è specializzato nella rimozione di patologie tumorali e opera, stabilmente, alla Cornell University, la quale possiede uno dei laboratori più all’avanguardia per la rimozione di patologie tumorali e vascolari alla base cranica.

Si è laureato alla Federico II di Napoli, presso il Secondo Policlino, poi la scelta di partire per Edimburgo, attratto dalla pragmatismo anglosassone e dalla possibilità di crescita. Subito dopo gli Stati Uniti, poi il Perù e il ritorno negli Usa con l’offerta di una posizione alla UMDNJ nel New Jersey, per poi arrivare alla Cornell.

Tuttavia,il dott. Bernardo viaggia ancora molto, recandosi in tutto il mondo per effettuare operazioni e confrontarsi con i colleghi delle più svariate realtà.

Alla domanda del reporter del Corriere del Mezzogiorno su come si trova alla Cornell, il neurochirurgo risponde: “A New York benissimo, alla Cornell e’ un paradiso. Ho creato una scuola di neurochirurgia ed ho richiesta di specializzandi fino al 2020. Il Lab che ho creato opera 24 ore al giorno ed ho studenti che pur di far pratica accettano con piacere i turni di notte”.

Infatti, Antonio Bernardo spiega quanto la pratica e il training siano indispensabili per il lavoro di neurochirurgia, illustrando: “Qui disponiamo di notevoli risorse sia tecnologiche: computers, schermi a 3D ma sopratutto gli studenti hanno la possibilità di esercitarsi su teste umane di cadaveri. Ho creato un sistema di dissezione interattiva virtual (IVD) , di visualizzazione in 3D in realtà virtuale ed un processo di simulazione per pratica di operazioni sul cervello (…)”.

Ed è proprio questo che manca a Napoli, secondo il luminare: “(…)Da un punto di vista culturale, se vogliamo, i napoletani hanno una elevate capacità critica e cognitiva. Manca spesso, almeno nel mio settore, il training e la pratica di laboratorio. Forse per questo si viene in America.”


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