Pedofilia al Parco Verde di Caivano: i genitori sanno tutto e si coprono a vicenda


La piccola Fortuna è stata uccisa. La bambina del Parco Verde di Caivano che è morta precipitando dal sesto piano dell’isolato 3  sarebbe stata buttata giù da Raimondo Caputo, 44 anni, già in carcere dal 2015, per abusi sessuali su una bambina di 3 anni. Degrado, omertà e sesso si mescolano in una vicenda più cupa di ciò che si potesse immaginare. La storia di Fortuna è quella che ha tolto il coperchio ad un racconto agghiacciante, quello dei bambini del Parco Verde.

Perché sono stati i bambini a parlare, non certo gli adulti. I grandi hanno taciuto, per anni, fin dalla morte di Antonio Giglio, il bambino di 3 anni che cadde da una finestra della stessa palazzina, prima di Fortuna. Precisamente, l’anno prima. Caso ha voluto che il piccolo Antonio era figlio di Marianna Fabbozzi, 26 anni, compagna di Caputo, carnefice di Fortuna. Un mosaico che lentamente prende forma, un tetro disegno umano privo di luce.

Fortuna Loffredo il 24 giugno 2014 andò a cercare l’amica del cuore, la quale viveva a pochi passi dalla sua porta di casa. Insieme, si fecero belle, si truccarono; è il gioco che le piccole donne fanno, sognando di crescere. Ma qualcuno quel giorno ha cancellato per sempre il sogno di Fortuna. Quel giorno, Caputo, non avrebbe resistito. Avrebbe condotto la piccola all’ultimo piano per ad abusare di lei, come già aveva fatto in precedenza. Allora Fortuna reagì, si oppose alla violenza e la sua dissidenza venne punita. Il mostro gettò la ragazzina dall’ultimo piano, uccidendola.

Durante l’autopsia furono evidenti le tracce di violenza sessuale reiterata sul corpo della bambina.

Una violenza che subivano anche altri bambini. I quali, oggi, hanno abbattuto il muro del silenzio e l’insegnamento omertoso degli adulti.  “Gli adulti ostacolavano le indagini, i piccoli hanno permesso una svolta” afferma il Procuratore aggiunto di Napoli Nord, Domenico Airoma (come si legge su La Repubblica). Airoma accenna al racconto di ben 3 minorenni che hanno parlato, contro “l’omertosa indifferenza e la colpevole connivenza” da parte degli adulti. Nessuno del Parco Verde di Caivano ha detto una parola dalla morte di Fortuna, né a Domenica, madre della piccola, né agli inquirenti.

Un pericoloso atteggiamento sociale che si annida in un contesto labile, a tratti insano, in cui spaccio e subcultura tracciano i confini di vite ai margini. Lo scorso novembre, su Il Mattino on-line, Bruno, un adulto di quelle palazzine, lasciò un’intervista in merito alle vite del Parco Verde e del contesto in cui crescono i bambini, vittime indiscusse del fallimento istituzionale.

«Nell’isolato 3 dove abitava Fortuna ci sono 32 famiglie, due bambini morti e quattro adulti arrestati per pedofilia». Con queste parole esordisce l’uomo, un uomo che è stato il braccio destro di un famoso boss del passato, un uomo recluso in carcere per più di 10 anni, un uomo cambiato, tuttavia. Oggi è un operatore sociale e lavora per il recupero di quelle fragili vite, sempre in pericolo.

Bruno racconta come ai terremotati, che all’epoca furono trasferiti nel Parco, fu promesso di tutto: case nuove, servizi, scuole, strutture sportive, piscine. Ma ciò che hanno avuto negli anni è stato pane, disillusione e degrado. È la storia di molte periferie di Napoli, di cui si parla nei giornali, nelle presentazioni dei progetti del Terzo Settore, nelle campagne elettorali. Libri aperti e, subito dopo, chiusi. Perché la polvere da togliere è troppa, forse.


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