Il crollo economico del Sud: così il Nord si arricchì alle spalle del Mezzogiorno


Ne sono state dette di cotte e di crude a chi, ormai diversi anni fa, ha iniziato a parlare di un Mezzogiorno d’Italia ricco e fiorente prima del 1861. Ci sono stati degli uomini che non si sono lasciati abbindolare da una storia scritta male e da una questione meridionale liquidata in una maniera troppo sbrigativa e semplicistica.

Nella migliore delle ipotesi si è parlato di follie filoborboniche partorite dalle menti di ciarlatani nostalgici e deliranti. Questa visione delle cose è dettata da una convinzione a dir poco erronea. Quando si pensa alla storia si crede che essa sia la testimonianza di un’umanità lontanissima dal nostro vivere quotidiano. In molti credono di essere al cospetto di una serie di processi ed eventi costretti ad esistere solo nel limitato orizzonte di un passato ormai immutabile, ancestrale.

Chi volge lo sguardo a quel passato, domandandosi se le cose che sono giunte fino a noi rasentino la realtà oppure no, spesso, diviene bersaglio di derisioni e critiche. In una parola si viene etichettati come colpevoli, perché è buon costume non interrogare opportunamente quel passato.

La teoria di un Regno delle Due Sicilie stabile nelle sue strutture e potente economicamente si sta facendo sempre più strada, nonostante tutto. Lo studio Stéphanie Collet, storica della finanza all’Université Libre de Bruxelles, potrebbe (il condizionale è d’obbligo) porre fine, o quantomeno scalfire, l’irriducibilità di chi sostiene ottusamente, e senza lasciare nessuna possibilità al confronto, che la bilancia del divario socio-economico tra il Nord e il Sud del nostro paese sia sempre propesa a favore della sua parte settentrionale.

La Collet, supportata da fonti d’archivio delle borse di Parigi ed Anversa, ha riscontrato che l’unico caso, assimilabile agli odierni Eurobond, si è avuto proprio nella nostra penisola. Quando il Piemonte sabaudo ha fatto confluire tutti i debiti pubblici degli stati preunitari in un unico debito.

È evidente che questo è un precedente prezioso al quale l’Unione Europea dovrebbe ispirarsi per capire come i mercati finanziari reagirebbero ad un’eventuale unificazione del debito pubblico di tutti i paesi dell’eurozona. La neonata Italia, a detta della Collet, era una realtà molto simile all’Europa nel nostro tempo, in quanto in entrambe sono confluite compagini politiche diverse tra loro.

Le emissioni finanziarie del Regno d’Italia vennero suddivise in 4 gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Regno delle Due Sicilie e Stato Pontificio. Il dato interessante è relativo allo spread tra i rendimenti dei diversi raggruppamenti. Quelli delle Due Sicilie pagavano i tassi più bassi: il 4,3%, per l’esattezza, mentre Papato e Piemonte avevano percentuali molto più alte (rispettivamente il 29% e 44%).

Il motore finanziario della penisola prima del 1861 era, de facto, il Mezzogiorno e per avvalorare questa affermazione è giusto ricorrere alle parole della stessa Collet: “Come il Regno delle Due Sicilie prima dell’integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l’economia più forte dell’eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto”. Affermazione che non deve stupire vista l’importanza di Napoli e del regno della quale fu capitale. Ad Unità d’Italia avvenuta, l’integrazione del debito pubblico fu un’operazione necessaria per portare avanti l’opera d’integrazione politica.

Molto probabilmente se gli Eurobond venissero introdotti ne gioverebbe anche la sinergia politica dell’Unione Europea, ma nel caso in cui questa situazione prendesse forma la Germania perderebbe la sua posizione di leadership economica ed i risultati nel breve periodo non sarebbero positivi. Il discorso cambia in un’analisi di lungo termine ed il caso italiano ne è la prova lampante.

Verso il 1870, infatti, i rendimenti dei titoli italiani diminuirono. Secondo la Collet l’aumento del costo del debito, nel breve termine, sarebbe un sacrificio che l’Europa potrebbe sostenere nel nome di una maggiore coesione dei paesi che la costituiscono. Superare le visioni di comodo ed i tornaconti di pochi, sarebbe la vera vittoria sia nel mondo dell’alta finanza che in quello della ricostruzione storiografica.


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