Vigilante ucciso, Patriciello: “Vi spiego perché quei ragazzi l’hanno fatto”


A seguito della tragica morte del vigilante, Francesco Della Corte, aggredito e ucciso alla stazione di Piscinola lo scorso 3 marzo per mano di una baby gang che voleva impossessarsi della sua pistola, Don Patriciello ha espresso il suo dolore per l’accaduto. Il prete di Caivano in un lungo post sulla sua pagina Facebook si è lasciato andare ad una serie di pensieri e riflessioni che portino a riflettere le tante persone che lo seguono.

Di seguito le parole di Don Patriciello: “Francesco Della Corte, il metronotte di Marano, è morto dopo due settimane di agonia. Ucciso a colpi di bastone da tre minorenni che avrebbero voluto rapinargli la pistola. Il questore di Napoli li ha definiti “lupi che attendevano la preda”. Colpire una persona più grande – e per giunta armata – fa andare in visibilio questo branco. Da soli non saprebbero cavare un ragno dal buco, insieme diventano spietati.

Sottrarre la pistola a una guardia giurata per loro è come superare l’esame di maturità. Vuol dire sfidare la società e le sue leggi. Faccio quello che mi piace, nessuno mi ferma, niente mi fa paura. Non voglio rispettare i divieti, non intendo indossare il casco, non ho bisogno di lavorare. L’ arma del metronotte li eccita, li attrae, li ammalia. A farli precipitare di più in questo sanguinario inganno è lo spinello.

Loro fumano spinelli, sempre, anche controvoglia, anche quando vengono colti dalla nausea, anche quando non hanno i soldi per comprarli. Ne hanno estremo bisogno. Lo spinello, e le droghe pesanti che arriveranno dopo, sono necessari per darsi delle arie, per non essere emarginati, per avere visibilità. Per sentirsi qualcuno. Una sorta di status. Come il taglio dei capelli, le scarpe, l’atteggiamento da “guappo”.”

Don Patriciello nella prima parte ha sottolineato come questi ragazzi provochino la società e lo sfidare una persona più grande, per giunta armata, li fa sentire forti sopratutto quando questi agiscono in gruppo. Un’altra cosa che li condiziona, accusa il prete, sono le droghe. Queste offuscano le loro menti rendendoli ulteriormente pericolosi. Ricordiamo i tanti casi di aggressioni visti negli ultimi mesi, come il giovane Gaetano.

Ciò che resta più sconcertante in questi fatti sono i messaggi di solidarietà ricevuti dai sui social networks. Don Patriciello ha poi continuato evidenziando come questi: “Senza saperlo recitano la parte come da copione. Attori a titolo gratuito sul palcoscenico della propria vita. Gioventù sprecata. Il mondo delle apparenze, impietoso, miete le sue vittime. Vivono, agiscono, si muovono in un mondo dalle dimensioni striminzite.

Il loro mondo, la loro lingua, i loro gesti, i loro modelli. Inventano parole, si baciano sulle labbra, amano chiamarsi “fratm”, fratello mio. Bellissimo se fosse vero, ma è solo la password per sentirsi parte della banda. Un mondo altro, il loro, artificiale, minuscolo, fasullo. Un mondo che li mette in fila come soldatini di latta e li convince che solo in quel modo, recitando quella parte, atteggiandosi in quel modo, sono veramente liberi, veramente uomini.

Valgono qualcosa. Una menzogna che pagheranno e faranno pagare a caro prezzo.

Don Patriciello ha poi iniziato a porsi degli interrogati e a non cercare alcuna scusante per l’atroce gesto commesso da questi ragazzini: “Ragazzi illusi e delusi, sfortunati e capricciosi, violenti e ingenui. Ragazzi assassini. Vittime e carnefici. Giovani verso i quali la famiglia, la scuola, la società hanno contratto un debito enorme. Attenzione a non cedere al buonismo; a non chiamare “bravata” questa sanguinaria follia.

Forse non volevano uccidere, forse volevano solo impaurire Francesco per sottrargli la pistola, forse sognavano di essere applauditi da qualcuno. Forse. Di fatto hanno ucciso, hanno insozzato di sangue le loro mani bambine, hanno strappato il papà ai suoi figli. E noi? Dopo esserci indignati, scandalizzati, dopo avere inveito e confessato il nostro fallimento nella difficile arte dell’educazione che cosa possiamo fare? Come possiamo tentare di rimediare?

In che modo possiamo evitare che accadano ancora obbrobri come questo? La spietata violenza di questi ragazzi chiama in causa anche gli adulti. A cominciare dalle famiglie, passando per la scuola per approdare all’ intera società.”

Il prete conclude il suo lungo intervento provando a cercare una soluzione e addossando colpe su tutti, nessuno escluso: “Questi giovani – 15, 16, 17 anni – che non vanno a scuola e non lavorano sono demotivati, annoiati, senza risorse, senza possibilità di smaltire in positivo la potente energia della loro età. Vivono senza controlli, senza regole, senza orari da osservare. Fanno quello che vogliono, quando vogliono, come vogliono.

Come tutti, avrebbero bisogno di competere, giocare, confrontarsi. Vincere. Per farlo serve impegno, serietà, perseveranza, disciplina, esercizio, puntualità.  Forse – ma dico forse – nessuno glielo ha mai insegnato. Lasciati a sé stessi sono diventati pigri, svogliati, negligenti. A quella età, alle tre di notte, si dovrebbe stare a letto, ma per poter dormire occorre essere stanchi. E loro non lo sono. Per non annoiarsi occorre avere una meta da raggiungere.

E loro non ce l’hanno. Sono giovani, dovrebbero studiare e giocare come gli altri; viaggiare, sciare, pregare come fanno gli altri. Ammettiamolo, la scuola non è stata capace di appassionarli, impegnarli, coinvolgerli, incuriosirli. Le famiglie non sono state in grado di far fronte ai loro disagi, al loro malessere. La società ha fatto finta di ignorarli. In preda ai loro istinti primordiali hanno sperperato in brevissimo tempo il patrimonio unico e irripetibile della loro età.

Verrebbe voglia di prenderli a sberle più che gettarli in prigione, se il caro Francesco non avesse perso la vita. Gioventù sciupata, emarginata, condannata. Violenta. Ragazzi rovinati, ma da accompagnare, recuperare, rieducare ad ogni costo. Hanno bisogno di noi. Per riprendere il cammino, per chiedere perdono. Per imparare a vivere. Dobbiamo esserci. Tutti. Mai come in questo caso, disertare è un crimine.”


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