Torre del Greco, quando i Borbone la chiamarono la “Spugna d’oro”


Torre del Greco, città partenopea ai piedi del Vesuvio, è la madrepatria del corallo, prezioso materiale proveniente dal mondo animale. Fu denominata “Spugna d’oro” da Ferdinando IV di Borbone in relazione ai cospicui guadagni ricavati dalla pesca e dalla lavorazione del corallo.

Sin dalla preistoria il corallo era apprezzato per il suo fascino ed eleganza e per il suo valore di porta fortuna. É stato utilizzato anche come moneta, amuleto e medicinale.

Anche gli antichi Greci utilizzavano il corallo, pur non amandolo particolarmente. A Pantelleria furono ritrovati i resti di una barca utilizzata per la pesca del corallo, risalente all’IV secolo d.C.

L’etimolgia del termine “corallo” è incerta: alcuni sostengono che derivi dal greco koraillon, “scheletro duro”, altri da kura-halos “forma umana” o dall’ebraico goral, pietre utilizzate per gli oracoli in Asia Minore, Palestina e Mediterraneo.

La pesca del corallo iniziò a partire dal 1400: umili pescatori torresi pescavano nel bacino del Mediterraneo, tra Corsica, Sardegna, Sicilia, Algeria e Tunisia. Nel 1639 fondarono la società di mutuo soccorso “Il Monte del marinaio” per difendersi dai pirati. Fu trasformata in “Società in Codice Corallino” da  Carlo III di Borbone nel 1739.  Nel 1688 arrivarono ad avere ben 400 barche adibite alla pesca del corallo. Nel 1780 si spinsero fino alle coste africane.

Nel 1878 fu fondata la “Scuola di Incisione sul Corallo e di Disegno Artistico Industriale”, con l’intento di insegnare l’arte dell’incisione ai giovani. Man mano la scuola si è trasformata nell’attuale Istituto d’Arte, che propone due diversi percorsi professionali: “Arte del Corallo” e “Arte dei Metalli e dell’Oreficeria”.

Il Museo del Corallo, nei pressi della Chiesa del Carmine a Torre del Greco, grazie all’esposizione di bellissime creazioni in corallo, è diventato testimonianza viva dell’antica tradizione del corallo, dalla pesca, alla lavorazione ed al commercio dall’Ottocento fino ad oggi.

Nei laboratori torresi si esegue la tecnica dell’inciso, mentre quella dell’inciso viene praticata a domicilio dagli artigiani.

La prima è abbastanza complessa: dopo la pesca, si seleziona il corallo grezzo, poi tagliato, crivellato, forato, luciadto ed infine si scelgono i pezzi più pregiati per colore, misura e qualitàà al fine di di realizzare dei fili impiegati per produrre gioielli.

La seconda consiste, come dice il nome, nell’incidere il corallo per creare immagini, volti, figure e statue. I costi sono abbastanza elevati, in quanto non è semplice reperire il corallo e bisogna prestare particolare attenzione per non danneggiare le barriere coralline ed i fondali.

Tale tecnica viene trasmessa di padre in figlio. Gli abili artigiani si servono di lime, archetti e bulini per realizzare le loro splendide incisoni.

Nel 2003 è nato il consorzio “Vulcano Prom. Art-Torre del Greco” per sostenere e tutelare questa professione. Un insieme di artigiani del corallo ed anche del cammeo e dell’oro organizzano progetti comuni nell’ambito della filiera orafa.

Anche a Napoli c’è un museo dedicato al corallo, all’interno della galleria Umberto I. Qui si trovano non solo le più belle esposizioni delle creazioni in corallo ma intere collezioni che ripercorrono la storia del corallo, con documenti originali.

Troviamo testimonianze dell’incisione del corallo anche nel Museo Archeologico di Napoli, basta pensare alla Tazza Farncese, simbolo della fertilità del Nilo.


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