Nino D’Angelo: “Devo tutto alla cultura e a Napoli. Ma andai via perché la camorra mi sparava”


La storia di Nino D’Angelo è quella di chi ce l’ha fatta, di chi è riuscito a riscattarsi da una condizione di partenza certamente umile, svantaggiata, per diventare qualcuno nella vita grazie all’impegno e alla volontà di coltivare il proprio talento. Certo, ci è voluto anche un pizzico di fortuna, quello di conoscere la persona giusta, ovvero il suocero autore di canzoni. L’ex caschetto d’oro si è raccontato in una intervista al Corriere della Sera, firmata da Candida Morvillo, dove ha ripercorso diversi episodi della sua vita e della sua carriera.

La fuga a Roma per colpa della camorra

Napoli è la città a cui deve praticamente tutto: la sensibilità, la vena poetica che si apprende per strada prima che dai libri, il successo. Eppure da Napoli è dovuto andare via dopo Sanremo ’86, il suo primo festival, per colpa della camorra che per due volte ha sparato contro la sua abitazione. Erano gli anni ’80, il decennio forse più complicato per la città, quello del terremoto in Irpinia, la speculazione edilizia, le lotte di camorra, le alleanze tra politica (locale e nazionale) e criminalità organizzata. “Vedevano il successo – spiega Nino D’Angelo –. Telefonavano, minacciavano. La seconda volta, hanno sparato dentro casa, il proiettile è entrato nella stanza dove mio figlio Vincenzo dormiva nel lettino. Siamo scappati in un giorno. Un peccato, perché devo tutto alla città, i napoletani mi adorano: piace che uno di loro ce l’ha fatta senza aiuti”.

Come iniziò la carriera di Nino D’Angelo

Un successo forse inaspettato viste le premesse. Nino era il primo di sei figli, e quando il padre si ammalò fu costretto a lasciare la scuola per vendere gelati alla stazione:

“Un giorno la professoressa d’italiano mandò a chiamare mamma, che subito mi diede due schiaffoni: era certa che la prof si voleva lamentare. Invece quella le disse che, quando scrivevo, non sembravo io: la dialettica era imperfetta, ma scrivevo pensieri più grandi di me. Disse: è un poeta che non sa parlare. È così che s’intitola il disco che esce: Il poeta che non sa parlare. Voleva farmi continuare gli studi, ma dovetti prendere il posto di papà malato, a vendere gelati alla stazione. Lì cantavo e la gente mi svuotava il banchetto. Poi iniziai a cantare ai matrimoni”.

Poi l’incontro con il papà di Annamaria, quella che sarebbe diventata sua moglie, ma soprattutto l’incontro con la cultura e Raffaele Viviani: “Suoceri e genitori fecero un debito per farmi fare un 45 giri. Andavano di moda le sceneggiate, scrissi ‘A storia mia – ‘o scippo. Per venderlo, mi spacciavo per il fratello di un carcerato, dicevo: compratelo, deve mantenere la famiglia. Vendetti 50mila copie”. Il successo però arrivò con “Nu Jeans e ’na maglietta”, che di copie ne vendette “Un milione l’originale: con le cassette contraffatte, saranno stati cinque milioni”.

La presa di distanza da Mario Merola

Anche il film fu un successo enorme. Mario Merola lo designò come proprio successore, ma il ruolo a Nino stava stretto e d’altra parte non gli piacevano le sceneggiate, parlare di camorra e guappi: “Mario Merola diceva che ero il suo erede nella sceneggiata, ma io non volevo essere il numero due e le sceneggiate cantavano malavita, guappi e questo non mi piaceva. Mi sono inventato di parlare d’amore ai ragazzi. Solo che i critici musicali non sapevano dove mettermi: quando sono nati i neomelodici, che mi scopiazzavano, mi hanno fatto diventare neomelodico, ma io avevo già fatto 15 anni di successo”.

Dalle umili origini al successo, qualcuno poteva aspettarsi un Nino D’Angelo appagato, ed invece l’artista si è evoluto. Dopo la morte della madre si è tagliato il caschetto ed ha cominciato a cantare il sociale, ha cantato alla Royal Albert Hall di Londra, all’Olympia di Parigi, al Madison Square Garden di New York (mentre in Italia e nella stessa Napoli fatica a farsi dare un teatro). Tutto grazie al suo incontro con “la cultura. Quando non sai, non ti puoi difendere. Io, grazie al talento, ho conosciuto persone che mi hanno insegnato, anche solo andandoci a cena”.


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