La vera storia del murales di Maradona ai Quartieri Spagnoli di Napoli: dove vive l’anima di Diego


Le spoglie di Diego Armando Maradona riposano nel cimitero Jardín Bella Vista di Buenos Aires, un luogo curato, ordinato, con tombe uniformi immerse nel verde, che richiama un’estetica anglosassone.

È possibile recarsi lì per pregare in silenzio. Tuttavia, il luogo che realmente ne custodisce la memoria più intensa non si trova in Argentina, ma a Napoli, nei Quartieri Spagnoli.

Nel cuore del capoluogo partenopeo, in via Emanuele De Deo, un grande murales dedicato a Maradona è divenuto il simbolo più autentico del suo culto postumo.

Nato come iniziativa spontanea, senza autorizzazioni né richieste da parte della città o dei tifosi, fu realizzato per volontà personale di un uomo conosciuto come Don Antonio.

Fu realizzato nel 1990 dall’artista napoletano Mauro Filardi. L’iniziativa nacque su commissione di un ex ultras delle Teste Matte, desideroso di rendere omaggio al campione che aveva segnato un’epoca per la città e la sua squadra.

Il murales, concepito inizialmente come un omaggio privato, ha finito per incarnare una sacralità collettiva.

Il 25 novembre 2020, alla notizia della morte del Pibe de Oro, Napoli reagì con un dolore collettivo. Due i poli simbolici della commemorazione popolare: lo stadio San Paolo, poi intitolato a Maradona, e il murales di via De Deo.

Proprio quest’ultimo venne immediatamente trasformato in un altare laico. I cittadini vi si recarono spontaneamente, lasciando fiori, magliette, lettere, creando uno spazio sacro che ancora oggi custodisce memoria e devozione.

Nel tempo, quel luogo ha assunto anche una funzione apotropaica. Durante la cavalcata che ha portato il Napoli alla conquista del terzo scudetto, il primo senza Maradona in campo ma non senza la sua presenza simbolica, il murales è divenuto punto di ritrovo e celebrazione. Ogni vittoria veniva festeggiata lì, come se lo spirito di Diego continuasse a guidare la squadra e la città.

Maradona, approdato a Napoli nel 1984, rinacque nella città che lo accolse come un eroe. Tuttavia, venne anche immediatamente avvicinato dalla camorra, che seppe sfruttare le sue fragilità. Una celebre fotografia lo ritrae nella vasca a conchiglia di casa Giuliano, accanto a Carmine Giuliano, detto “’o Lione”, figura centrale della criminalità organizzata.

Uno scatto che ha danneggiato profondamente la sua immagine, ma che fu frutto – secondo diversi osservatori – di una partecipazione ingenua, dettata dall’istinto del ragazzo cresciuto nella miseria di Villa Fiorito, incapace di sottrarsi alle manifestazioni d’affetto.

La camorra utilizzò la cocaina come mezzo di controllo e legame. Maradona divenne ospite abituale di feste private e cerimonie. La dipendenza dalla droga si trasformò da euforia in tormento, senza che Napoli sapesse o volesse proteggerlo.

Quando lasciò la città il 22 settembre 1991, lo fece in solitudine, nonostante all’arrivo fossero accorse centomila persone ad accoglierlo. L’addio fu segnato dall’indifferenza.

Contrariamente alla narrazione di un amore incondizionato, Napoli abbandonò Maradona nei momenti più difficili, lo giudicò e lo isolò. Solo dopo anni lo recuperò, sublimandolo in figura mistica. Come i santi, Maradona venne rivestito della fantasia collettiva, trasformato in simbolo.

E Napoli, città che spesso allontana i suoi miti dopo averli esaltati, costruì attorno alla figura del Diez un culto speculare a quello di San Gennaro.

Il sistema calcistico internazionale, incapace di controllarlo, ne utilizzò i vizi per distruggerlo. Maradona venne fermato e squalificato per cocaina.

Negli Stati Uniti, in Argentina, in Italia: ovunque, i controlli si concentrarono su di lui. La sua dipendenza non fu mai nascosta, ma interpretata come segno di debolezza da punire.

Eppure, il legame tra Maradona e Napoli resta unico. In un contesto dove diritti, giustizia e meritocrazia sembrano assenti, il talento puro del campione argentino veniva percepito come la prova che farcela è possibile.

Per molti napoletani, la sua carriera ha rappresentato una forma di riscatto collettivo. Sul campo Maradona incarnava furbizia, resistenza, generosità, tutte qualità richieste a chi cresce in un contesto ostile.

Anche i suoi gesti più discussi – come il gol con la mano contro l’Inghilterra – venivano letti come simboli della sopravvivenza astuta, della cazzimma.

Con la morte, Maradona ha completato la sua trasformazione in leggenda. È proprio attraverso le sue ombre, e non nonostante esse, che è divenuto un santo laico.

La fragilità lo rendeva umano, accessibile, simile a tutti. Non era un semidio, ma uno di noi che ce l’aveva fatta.

Una ragazza, in lacrime davanti al murales, accarezza la foto di Maradona. Alla domanda di un’amica – “Lo vedi come un dio?” – risponde: “Anche. Perché era mio padre.” Era la figlia di Maradona.

Quel dolore, espresso sotto quel murales, dimostra che via De Deo non è soltanto un luogo di memoria: è la vera tomba spirituale di Diego Armando Maradona.


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