Anna Frank: la vera storia della ragazzina simbolo degli orrori nazisti


Qualche anno fa, i tifosi della Lazio mostrarono un’immagine di Anna Frank con la maglia della Roma. Fra minuti di silenzio, mancato rispetto di questi ultimi, accuse della comunità ebraica e parole dei politici, sulla foto ritoccata si è alzato un polverone che dopo anni non accenna a diradarsi. Perché tutto questo? Spieghiamo in breve chi era la ragazza simbolo dell’olocausto e perché utilizzare la sua immagine è stato un gesto tanto vile. Speriamo che la conoscenza della sua storia possa aiutare a non compiere più simili atti.

Annelies Marie Frank, detta semplicemente Anne, nacque a Francoforte il 12 giugno del 1929 da Otto Heinrich Frank ed Edith Frank.  I Frank erano ebrei riformati: quindi conservavano le tradizioni antiche del loro culto, ma praticavano solo le più moderne e meno restrittive, al punto che Anne crebbe insieme a tantissimi bambini di fede cattolica e protestante. Il padre, imprenditore, si occupava dell’educazione delle figlie, facendo crescere in loro la passione per la lettura.

Le due sorelle, di cui Margot era la maggiore, erano completamente diverse: la più grande timida, introversa, eccellente in tutto ed educata; la piccola Anne era vivace, curiosa ed in perenne competizione con l’altra per le attenzioni familiari. La vita normale di una bambina, le piccole guerre, le passioni e gli affetti. Tutto questo, però, venne presto infranto dall’orrore che prendeva piede nella Germania del tempo: l’avvento del Nazionalsocialismo e l’ascesa di Adolf Hitler.

Dopo la vittoria alle elezioni, nel 1933, si ebbero già i primi episodi di violenza antisemita. Otto, preoccupato, fece trasferire moglie e figlie ad Aquisgrana, città più tranquilla, e preparò tutto per creare una filiale della sua azienda nei Paesi Bassi. Così, quando gli ebrei, pochi mesi dopo, persero il diritto alla cittadinanza, la famiglia Frank al completo andò in esilio ad Amsterdam.

Qui Anne continuò a studiare, iscritta ad una scuola montessoriana, vivendo altri anni in serenità fra libri e cinema, di cui era una grande appassionata. Il padre cercava di diffondere ottimismo nonostante in Germania le sinagoghe bruciassero, nonostante il cognato fosse stato arrestato nella “Notte dei Cristalli”, mostrava alle figlie ed alla moglie un ottimismo estremo, definendo quei gesti come violenze passeggere.

La situazione cambiò quando Hitler invase la Polonia nel 1939 facendo scoppiare la Seconda Guerra Mondiale. I Paesi Bassi vennero occupati dai nazisti, l’azienda di Otto venne affidata a proprietari ariani e cambiò nome, gli ebrei venivano schedati e trattati peggio di animali: non potevano entrare nei cinema, cosa che turbò molto Anna, e possedere qualcosa. Il capofamiglia chiese più volte asilo negli Stati Uniti, ma senza successo: così, predispose un rifugio, un attico dietro la loro abitazione.

Il giorno del suo compleanno, nel 1942, Anna Frank ricevette in dono un diario dove iniziò a raccontare tutto ciò che gli accadeva come in una corrispondenza con un’amica. In quel diario iniziò ad annotare la vita nel rifugio, la convivenza con altri rifugiati in quell’attico, il fastidio di quella situazione e le sue frustrazioni. Il nascondiglio resse per due anni, finché, il 4 agosto del 1944, la Gestapo, avvertita da un delatore, fece irruzione ed arrestò tutti.

Dopo alcuni trasferimenti in vari campi, la famiglia di Anna venne deportata al campo di concentramento di Aushwitz, dove la madre si lasciò morire di inedia. Le due sorelle vennero poi trasferite a Bergen-Belsen, dove morirono di tifo esantematico a pochi giorni di distanza, forse nel febbraio del 1945. L’unico membro della famiglia a sopravvivere alla deportazione fu il padre Otto, che anni dopo ricevette il diario della figlia.

Il diario di Anna Frank è la testimonianza più importante degli orrori dell’olocausto: la ragazzina, al tempo quindicenne, descrisse gli errori di quei mesi di prigionia, le sofferenze e le oscenità. Il punto di vista diretto di una giovane vittima di quella follia. La prossima volta che qualche buontempone pensi di usare la sua immagine per fini così bassi, dovrebbe ricordare questa storia, ricordare che non sta offendendo una ragazzina, ma sputando sulla più grande tragedia umana della nostra storia.


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