La festa di Monte Castello a Cava de’ Tirreni: perché si festeggia


La festa di Monte Castello è così definita nel XX secolo, trattasi di un evento commemorativo del miracolo del SS.Sacramento dalla peste del 1656 che ha interessato anche il comune di Cava de’ Tirreni. La peste approda a Napoli per via mare, poiché gli armigeri della Sardegna hanno fatto una breve sosta per riparare il proprio veliero. Loro si dirigono nel cercare un po’ di piacere nell’area del Lavinaio, dove hanno contatto con prostitute e un ambiente igienicamente malsano. I marinai scambiano le loro merci infette con il servizio reso in natura dalle prostitute. Ciò diventa la causa del contagio, che parte quindi dal Lavinaio.

La malattia si estende velocemente in aree vicine e lontane di Napoli, tra cui Cava de’ Tirreni nel mese di maggio. Il popolo si mobilita con processioni e l’esibizione di reliquie sacre per contrastare il tenebroso morbo, ma le persone continuano repentinamente a morire, i tassi alti si registrano nei mesi successivi di giugno – luglio. Nel testo di Salvatore de Renzi “Napoli nell’anno 1656, ovvero documenti della pestilenza che desolò Napoli”, vi sono i registri municipali del comune di Cava de’ Tirreni, in particolare l’estratto dal volume 7° delle deliberazioni municipali dell’anno 1655 a 1687 della classe seconda e sezione seconda, ci forniscono una descrizione dei sintomi variegati del morbo:

“… Uscivano ad altri bubboni nelle anguinaglie, e sotto le ascelle, e ad altri le bolle, o ambolle e queste per ogni parte della vita, e per piccole che fossero, ogni neo della persona diveniva pestilente e mortale, precedeva, o susseguiva la febbre, e i molti mandava fuori lenticchie, e queste in particolare in tre o quattro giorni uccidevano, altri passarono in sino al sesto giorno, ma infiniti in uno o due giorni, e morivano come arrabbiati e frenetici, con la faccia per terra, dopo una sete ardentissima, e un profondo letargo. Il dolor in testa e il vomito erano i funesti antesignani della morte”.

Lì dove la religione è stata inefficace nel contrastare la malattia, si procede utilizzando altri mezzi, come farmaci per ripulire il corpo, vesciche, oli e unguenti per cercare di guarire le piaghe, tagliare i bubboni. Ovviamente tutto ciò non è servito a molto.

Nel mese di ottobre la peste cessa di mietere tante vittime, si inizia a fare il conto dei morti: ben 6300. Il parlamento si riunisce al palazzo del comune e il giudice regio Tommaso Adoe spiega ai presenti come ripulire i luoghi infettati. I soggetti chiamati ad agire sono persone guarite dalla malattia, essi usano una procedura ben precisa:

Le case si espurgarono prima con i fuochi e profumi di legni odoriferi e mineral, e poi tre volte si spazzarono pennelleggiarono con calce, ed aceto le mura, et i pavimenti. I panni e le lane putride si bruciarono quelle che non erano tali si ferono bollire tre volte in acque di sale e ceneri, i panni di lino si passarono per due bucate, le suppellettili di legno si passarono per fuoco lento, i quadri, ed altre cose tali si aspersero pi volte d’aceto, con tenersi a far la quarantana esposte al vento e battute”.

Secondo la tradizione, il fautore che ha arrestato la malattia è stato il SS. Sacramento. Don Angelo Franco, l’unico parroco sopravvissuto della chiesa della SS. Annunziata, dà vita a una processione Eucaristica partendo dalla Chiesa dell’Annunziata fino al Castello di Sant’Adjutore, dove si posiziona ai 4 punti cardinali e impartisce la Santa Benedizione alla gente posta a valle. Avviene così il miracolo, nel mese di dicembre non c’è più l’ombra della malattia. Già a partire dal 1657, i cavesi commemorano il prodigioso evento nell’Ottava del Corpus Domini. Nel sito dell’Ente Monte Castello, che si occupa della festa, c’è scritto il primo testo secondo il quale documenta la prima processione del 1657, ovverosia il manoscritto del 1765 del notaio cavese Filippo Della Monica. Il manoscritto si trova nell’archivio parrocchiale della chiesa della Santissima Annunziata.

Oggi si ripete ritualmente la processione, eccetto alcune cose aggiunte.  Il giovedì mattina viene issata la bandiera del comune di Cava di colore giallo/rosso sul castello e viene fatto costruire appositamente un palo del SS.Sacramento posto vicino alla croce di ferro. Durante la mattinata dello stesso giorno o qualche giorno prima, i pistonieri appartenenti agli 8 casali che si dividono in 4 distretti si prodigano di mettere i loro rispettivi vessilli dei casali e distretti: Sant’Adjutore bianco/celeste, Mitiliano rosso/verde, Corpo di Cava bianco/nero, Pasculano giallo/nero. Questi uomini con archibugi si trattengono l’intera giornata, dunque devono in qualche modo sfamarsi, ebbene la colazione, il pranzo e la cena sono preventivamente preparati dalle loro rispettive mogli, madri e fidanzate. Secondo un’antica tradizione, le donne non possono trattenersi al monte al calar del sole perché avrebbero recato sciagura al paese. Ancora oggi in chiave goliardica c’è qualcuno che invoca il tradizionale rito nel pronunciare la  fatidica parola “abbasce è ffemmn”. Alla fine della Santa Messa alle 11 i pistonieri si dilettano a mangiare, sparare con i loro fucili. Durante il pranzo, fanno da sfondo le musiche e canti antichi, poi la sera c’è la suindicata processione del Corpus Domini. La sera del sabato si tiene il gioco di fuochi che emula l’incendio del castello e il patrio tricolore.

Ci piace concludere l’articolo con questa bella poesia romantica di Ernesto Coda a proposito della festa di Monte Castello:

“ ’O Castiello e tu

Quanta logge stasera chiéne ‘e gente!

Se spérdono p’ ‘o ciélo tanta vòce

resate e suòne. Tutte so’ cunténte.

Ncopp’ ‘o Castoéllo sta allumata ‘a Cròce.

 

E tu addo stàie? Quant’anne so’ passate?

So’ passate tant’anne ‘a chella sera!

Giuvanuttiélle, stévemo appuiate,

ffelice e spenziarate, a na ringhiéra,

 

e guardàvemo ‘o ffuòco ca sagliéva,

pe’ na scusa … accussì … pe fa’ vedè …

E ogne bomba ca nciélo s’arapéva

cchiù t’accustave azzicco azzicco a me.

 

E mo addò stàie? Sàccio ca si’ sincera;

saccio ca ogne anno ‘o core tùio sta ccà,

mmiezo a’ festa ‘e Castiéllo; e a chélla sera

saccio ca nun te può mai cchiù scurdà.

 

Niénte cchiù véco, nu velàrio ròsa

mo tèngo nnanze a ll’uòcchie; niente cchiù

véco, e mme girà attuòrno tutte cosa:

for’a ‘sta loggia ce stàie sulo tu.

 

Pecché, ncopp’ ‘o Castièllo, sulamènte

véco ‘a Cròce allummata? Ma pecché,

for’ a ‘sta loggia, mmiézo a tanta gente,

staséra veco sulamente a te?”.

 

Bibliografia:

A.Domenico, La festa di Castello di Cava, Mitilia Editrice, Cava de’ Tirreni, 1990;

S.Argenziano e A.Langella, La peste del 1656 a Napoli, aspetti storici, sanitari, religiosi e curiosità, vesuvioweb, 2012;

S.de Renzi, Napoli nell’anno1656, ovvero documenti della pestilenza che desolò Napoli,. Domenico de Pascale, Napoli, 1867;

Sitografia:

http://www.entemontecastello.it/festa.xhtml


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