Perché a Carnevale c’è l’usanza di lanciare i coriandoli?


Indossare, mangiare, lanciare, ovvero maschere, chiacchiere e coriandoli: questo prevede il festoso cerimoniale del Carnevale. Così almeno lo si festeggia in Italia dal 1875, l’anno in cui si compì un’autentica svolta per grandi e piccini, abituati fino a quel momento a mangiarli i coriandoli, piuttosto che a tirarseli contro.

La festa del Carnevale, infatti, celebrata sin dall’antichità per rovesciare – almeno per una volta l’anno – le gerarchie sociali e ispirata dagli antichi Saturnali romani e alle feste dionisiache greche, ha assunto una connotazione molto più cristiana dal Medio Evo in poi, tanto che il nome stesso deriva dal latino “carnem levare”, cioè “togliere la carne” e più in generale indica un periodo di digiuno quaresimale prima della Pasqua.

Digiuno e astinenza da carne e prelibatezze dolciarie preceduto proprio dall’incetta di questi cibi, come le note chiacchiere, ma anche dai meno conosciuti confetti al gusto di coriandolo (che è una nota spezia). Dal Rinascimento si inizia così a chiamare questi confetti semplicemente coriandoli e successivamente rimane la tradizione del lancio dei coriandoli, ma cambia la consistenza degli stessi: nella seconda metà del XIX secolo non vengono più usati i dolcetti, bensì delle palline di carta colorata e gesso.

Poco più tardi, nel 1875 circa, è l’ingegnere Enrico Mangili ad avere l’intuizione di usare i dischetti di scarto dei fogli bucati per le lettiere dei bachi di seta come elementi colorati da lanciare in aria a Carnevale. Proprietario di una filanda a Crescenzago, nel milanese, Mangili decide di dare nuova vita agli scarti e fa provare i suoi piccolissimi coriandoli al Carnevale di Milano. Esperimento riuscitissimo, tanto che ancora oggi non è Carnevale senza il celeberrimo lancio dei coriandoli.

Fonti:
I coriandoli del signor Carnevale, su Il Mattino di Padova del 3 febbraio 2013


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