Fabio, prima di uccidersi, ha lasciato un biglietto, ritrovato dagli agenti in un’auto situata nei pressi del luogo del suicidio, in cui si comprendono le ragioni del suo gesto: “Auguro a tutti i miei colleghi precari di poter diventare stabili al più presto. Io sono un prigioniero della precarietà. Addio”. Si è ucciso indossando la sua divisa da vigile del fuoco, una seconda pelle per lui, che avrebbe voluto indossare per tutta la vita.
Quella di Fabio è la storia di chi si arrende, di chi smette di credere che ‘domani andrà meglio’. Perché nel nostro Paese la speranza è solo un concetto filosofico: se non hai le spalle coperte, o la spinta giusta, le prospettive sono demoralizzanti. Quasi per tutti.
Nella nostra regione, poi, la situazione raggiunge il picco di negatività: la Campania, infatti, è maglia nera per suicidi scaturiti da ragioni economiche.
E, mentre la politica fa a ‘botte’ in tv e nelle piazze con sermoni finti e costruiti ad arte, pavoneggiandosi con dei numeri ma nascondendone altri, gli italiani continuano a soffrire, e a morire, giorno dopo giorno, nell’indifferenza quasi totale. Cosa chiedono, in fondo, se non una possibilità? Se non un po’ di dignità?