Filippo Colosimo e la Conus, innovazione da quasi 40 anni: “Ho un consiglio per gli universitari”


Giovane, dinamico, preparato e appassionato. E’ il ritratto di Filippo Colosimo, imprenditore a capo della Conus, azienda di Impianti Multimediali che da circa 40 anni opera in questo settore con professionalità e passione.

Filippo fa parte del gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria, un team solido e affiatato di giovani imprenditori campani e ha raccontato ai nostri microfoni la storia della sua azienda, di cosa si occupano e tutte le difficoltà che ha incontrato nel suo percorso imprenditoriale.

Ci racconti la sua storia personale, imprenditoriale e della sua azienda.

“Mio padre circa 40 anni fa ha iniziato questa attività nel mondo della tecnologia. Spinto da un amore per l’innovazione, per le cose nuove, una vera e propria passione per il cambiamento; ha iniziato nel settore dell’audio-video professionale ed ancora oggi l’azienda si occupa di sistemi audio e video professionali e di integrazione di tecnologie multimediali. Sono nato e cresciuto all’interno di questo ambiente e di questa azienda piccola che conta circa 15 persone”.

La vostra quindi è un’azienda a gestione familiare.

“Si oltre mio padre, io e i miei due fratelli operiamo con ruoli diversi in azienda, io mi occupo delle pubbliche relazioni con i clienti, gestisco la parte marketing e quella delle vendite, trattandosi di una piccola realtà però spesso accade che ci sia bisogno di ricoprire diversi ruoli. Per la parte tecnica abbiamo un team interno di progettisti tra cui ingegneri, architetti e poi figure altamente specializzate nell’installazione, integrazione, programmazione dei sistemi. Diciamo che la parola che ci contraddistingue è “integrazione” intesa come la capacità di mettere insieme diverse tecnologie (informatica, audio, video, luci) e farle comunicare fra di loro in maniera ottimale. Ho sempre amato anche io, come mio padre, le nuove tecnologie, una passione che mi ha trasmesso lui e poi ho cercato da solo, man mano, di trovare nuovi sbocchi, nuovi campi di applicazione, più intriganti dal mio punto di vista”.

Per esempio?

“Ho lanciato un brand, “Progettazione domotica facile”, il primo metodo di progettazione strutturato in step rivolto agli architetti che sono interessati ai sistemi di domotica personalizzati. Si tratta di sistemi di alta fascia, per abitazioni di lusso. Ciò che ci differenzia dagli altri è che noi ci rivolgiamo solo agli architetti e lo facciamo con un approccio meno tecnico, per rendere la tecnologia più comprensibile. Operiamo in maniera indipendente da qualunque marchio produttore, a differenza dei nostri concorrenti. Ci poniamo sempre la domanda <<Cosa dà concretamente la scelta di questa tecnologia ad un architetto o ad un qualsiasi utilizzatore finale? >>, siamo dei partner di progetto affidabili ed abbiamo un processo consolidato anche nel seguire i clienti dopo l’installazione”.

Nella descrizione di ciò che proponete ho trovato interessante lo specificare “cosa non facciamo”, mi può spiegare il motivo di questa scelta.

“Questo è il tratto distintivo e secondo me una delle armi ci ha consentito di rimanere in piedi rispetto ad altre aziende. Parlo della focalizzazione. Quello che non facciamo ci permette di focalizzare il nostro lavoro, di concentrarci solo sulle cose che sono importanti per il nostro mercato di riferimento. Lavoriamo molto dal Lazio in giù, abbiamo fatto qualcosina anche al centro nord ma non lavori costanti. A breve partirà il nuovo brand e contiamo di lavorare a livello nazionale”.

Tra i vostri lavori c’è stata la realizzazione di un Museo Interattivo Multimediale, secondo lei il futuro dei musei italiani sarà in quella direzione? Avete in progetto altri lavori di questo tipo?

“Sì, stiamo lavorando a diversi progetti per quanto riguarda il multimediale all’interno del comparto storico-culturale. Sono convinto che le realizzazioni multimediali e specialmente quelle di tipo interattivo possono rappresentare una soluzione vincente, soprattutto all’interno di un contesto come quello napoletano in cui abbiamo un patrimonio immenso che però è dislocato in strutture satelliti con una rete di collegamenti inesistente o comunque del tutto insufficiente. Si potrebbe fare in modo, ad esempio, che il turista che arriva al centro storico possa godere non solo delle bellezze di quella zona ma anche visitare virtualmente una parte del Museo di Capodimonte o di altri siti che sono più distanti. In questo senso noi giovani imprenditori di Confindustria avevamo iniziato un percorso da proporre alla città di Napoli che consisteva nel dotare i siti di interesse culturale, in particolare il centro storico, o comunque altre strutture museali e archeologiche, di tecnologie Smart, purtroppo questo progetto poi si è fermato ma io comunque credo molto in questa possibilità, sono convinto che possa dare un grande vantaggio concreto alla crescita del turismo napoletano”.

L’azienda è nata nel 1980, quanto è cambiato il settore della domotica in 36 anni? E come siete cambiati voi in questi anni?

“Lo stravolgimento maggiore nel settore si è avuto con l’ingresso del digitale che ha rivoluzionato la tecnologia audio, video e tutto il resto. Io ho iniziato questo lavoro in maniera assidua più o meno alla fine degli anni ’90 – inizi anni duemila e ho vissuto in pieno questo cambiamento. L’informatica, soprattutto, ha cambiato tutto – fortunatamente a mio avviso – perché grazie al digitale siamo riusciti a cogliere l’opportunità di continuare a lavorare in questo settore. Chi ha compreso che era possibile fare un lavoro di integrazione e non più la mera realizzazione di impianti “chiusi” con tecnologie indipendenti che non comunicavano tra di loro, ha potuto affermare il proprio lavoro e le proprie competenze. Al riguardo devo confessare che, nonostante la mia età anagrafica, mio padre è sempre stato più avanti anche di me: un innovatore che ha compreso rapidamente come l’informatica stava cambiando tutto e in che modo dovevamo modificare il nostro lavoro. A me piace di più creare soluzioni uniche, particolari, rifiniture tecnologiche di design, nell’arredo e tutto quello che si riscontra all’interno delle abitazioni o delle residenze progettate dagli architetti”.

In media quanti clienti si rivolgono a voi ogni anno? E che tipo di clienti?

“I nostri clienti finali sono essenzialmente enti pubblici (università, centri congressi). Sono tra le maggiori strutture Universitarie italiane: per esempio l’Università “Sapienza” di Roma, l’Università “Federico II” di Napoli, l’Università di Salerno, l’Università del Salento. Per la parte domotica ci rivolgiamo prettamente ai progettisti, fondamentalmente architetti. Con loro cerchiamo di instaurare un rapporto continuativo: anche con loro la nostra politica è proprio quella di gestire bene e con la massima attenzione pochi clienti. Non seguiamo più di 10-20 clienti all’anno, perché sappiamo che è necessario dedicare loro il giusto tempo, la massima attenzione e la cura attenta dei dettagli: è l’unico modo per ottenere progetti qualificati che si distinguono per contenuti tecnologici, funzionali e di design”.

Che tipo di difficoltà incontra oggi un imprenditore giovane? Secondo lei è più difficile fare l’imprenditore in Campania e in generale al Sud?

“Il territorio, lo sappiamo, è molto complesso. Forse la difficoltà maggiore che si presenta operando qui è il dover fare i conti con una serie di problematiche collaterali che ti fanno perdere di vista quelle che sono le priorità per la tua attività. Mi spiego meglio: l’imprenditore, molto spesso, invece di impegnare il proprio tempo in attività proficue per la vita aziendale, è costretto a fronteggiare problematiche collaterali come la difficoltà a spostarsi a causa delle infrastrutture carenti, i furti, la mancanza di servizi o altro. Questo sottrae tempo prezioso ai clienti e all’azienda stessa. Un altro problema che riscontriamo è la difficoltà nel trovare delle figure professionali specializzate non esistendo un’università con dei percorsi di laurea che forma figure specifiche per il nostro settore. Questa però è una problematica non territoriale della Campania o della città di Napoli, ma del contesto italiano in generale”.

Come vede il futuro imprenditoriale napoletano? Nei prossimi 10 anni le aziende secondo lei cresceranno o chiuderanno come è già successo?

“A mio avviso ci sono dei settori importanti sui quali le aziende napoletane possono fare la differenza ovunque. Se queste aziende si rendono conto del loro potenziale non solo in Italia ma a livello globale, allargando quindi il loro bacino d’utenza, possono puntare a posizioni di grande rilievo. Parlo del settore alimentare campano, o di quello sartoriale per esempio e anche il nostro settore, quello della progettazione, abbiamo i migliori architetti del mondo. Da un lato esiste certamente una problematica di indirizzo politico, che deve essere risolta a livello nazionale, ma dall’altro lato c’è probabilmente anche una miopia imprenditoriale, su cui noi dobbiamo fare mea culpa. Assistiamo ad un esodo dei giovani che dai nostri territori vanno fuori per lavorare, il mio è stato un percorso inverso: dopo la laurea in Economia e un master in gestione d’impresa avevo la possibilità di entrare subito nell’azienda di famiglia ma per una scelta personale ho voluto fare la classica gavetta fuori. Ho lavorato a Milano per un anno e mezzo presso un’azienda dove ho imparato tantissimo e dove ho capito cosa voleva dire essere dipendente, sono passato anche io per la fase del “fare fotocopie”, poi sono tornato a Napoli dove ho continuato a fare il dipendente per un’altra azienda inglese. Ho creduto molto nel seguire questo percorso esterno alla mia azienda perché ti forma dal punto di vista caratteriale, mi ha dato la possibilità di capire chi avevi di fronte quando ti relazionavi all’interno di un’azienda”.

Molti ragazzi però fanno un’esperienza fuori e non tornano più a Napoli.

“Secondo me è un problema del sistema in generale ma ci sono colpe anche da parte dell’imprenditore e dello studente stesso. Se è vero che l’imprenditore che oggi è costretto a chiudere un’azienda paga lo scotto di non aver saputo crearsi una nicchia, un percorso da seguire nel quale dare continuità alla propria attività, è altrettanto vero che quei ragazzi che oggi escono dall’università ma che non si sono ancora resi conto di quale nicchia, di quale piccola parte del mercato loro possono essere la soluzione, hanno vita molto dura e sono costretti a subire il mercato del lavoro. Questo da un lato dipende dall’università che non riesce ad indirizzare gli studenti dandogli le reali prospettive ma anche dal singolo studente che dovrebbe sviluppare questa capacità autonomamente durante il suo percorso di studi. In parole povere: uscire dall’università come un numero qualsiasi oggi è diventato un problema. Se posso permettermi un consiglio a chi sta completando il percorso di studi universitari dico di interessarsi a qualcosa, magari di molto specifico, per cui si ritiene di essere capaci di poter dare un proprio apporto, di avere i mezzi per contribuire in qualche misura e di puntare su quello. Questo è il modo in cui oggi secondo me ci si può creare una professione spendibile ovunque, anche a Napoli. Scegliersi un settore concreto in cui specializzarsi sia da parte dei giovani sia da parte delle aziende secondo me può salvarci da quella che chiamano crisi o contrazione dei consumi”.

Che consiglio si sente di dare ai ragazzi che da grande vogliono fare l’imprenditore?

“Quello di fare tante esperienze, anche negative, per poi trovare il lato positivo di queste esperienze. Nonostante mi ritenga fortunato perchè ho avuto una famiglia che mi ha garantito un lavoro, anche io ho affrontato tanti momenti negativi dal punto di vista professionale. Nelle mie esperienze negative ho sempre trovato il filo conduttore che mi ha portato a vedere quale era il mio errore in quella situazione, ciò che potevo modificare. Quindi dico ai ragazzi di affrontare tutte le problematiche che ci pone il territorio, cercare il proprio focus, la propria strada e cercare di capire dove abbiamo sbagliato per ripartire”.


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