Essere Gigione, la sua storia in un film: il regista ci racconta com’è nato


C’era una volta, ma anche tutt’oggi, quella parabola favolistica che al nome di Luigi Ciaravola da Boscoreale corrisponde il ben più noto pseudonimo di Gigione.

Proprio lui, quel personaggio surreale e snodato che ha accompagnato generazioni di appassionati, riempiendo piazze e sagre ma non solo, il potere magnetico di questo personaggio, infatti, ha incuriosito le più svariate tipologie di ascoltatori, per esaltarsi sotto le note di queste filastrocche danzerecce, per bistrattarlo a re del trash o per semplice divertimento.

A raccontare le vicende, artistiche ma anche e sopratutto umane del cantante partenopeo e compagni di viaggi, i figli Jo Donatello e Menayt oltre che alla fedele band che accompagna da anni ormai questa carovana allegra tra le province è il regista e filmaker beneventano Velerio Vestoso.

Abbiamo avuto modo di intervistare, alla vigilia dell’uscita al cinema del suo docufilm “Essere Gigione”, alla sua prima opera di questo genere, ma a prescindere comunque già unica nel suo genere, con un passato tra spot, sceneggiature teatrali e cortometraggi.

Il film merita di esser visto, come tra l’altro merita convenzione, che magari a qualcuno non piace, come riconoscimento di “progetto di interesse culturale”.

Perchè la pellicola va oltre quel che si potrebbe banalmente pensare, come magari un presuntuoso sfottò, ma è una attenta opera su un fenomeno di costume e di cultura alternativa, che nell’epoca moderna del trionfo del digitale riesce ancora a canalizzare l’attenzione dei tanti, a riempire le piazze con tournèè lunghissime da migliaia e migliaia di presenze che annualmente si ripetono da ormai trent’anni per l’instancabile mattatore che piace a grandi e piccini.

Diamo la parola al regista in questa interessante conversazione, alla vigilia per l’appuntamento di uscita al 18 Gennaio, tra gli altri disponibile la visione al cinema Hart di Napoli, alcuni UCI Cinemas (tra cui Casoria e Marcianise) ma consultate anche le altre sale in Campania e successivamente anche in altre sale italiane.

Premettendo un percorso professionale molto congruo a tutto quello che si antepone al documentario, gli spot pubblicitari sono un grande specchio, anche se spesso “infiocchettato”, della realtà sociale e l’avvicinamento già tramite un esperimento cultural-musicale come “Enzo Savastano“, quali altri sono stati, secondo te, i veicoli motivazionali che ti hanno spinto a lavorare a questo film?

“La sfilza di date che compare nel banner in sovrimpressione ogni qualvolta si esibisce in tv. Parliamo di decine e decine di appuntamenti annui tra sagre e cene spettacolo. In un Paese come il nostro in cui la musica dal vivo latita fino a scomparire, mi incuriosiva capire cosa ci fosse dietro a quel tipo di fenomeno, che fascia di gente lo seguisse e perché. Mi sono trovato in una sorta di universo parallelo, lontano anni luce dalla realtà, estraneo ai grandi problemi della finanza, della politica e assai più attento alla ricerca di una felicità personale e spicciola”.

Prendendo in prestito la citazione colta di Platone, dei popoli e delle sue musiche, che campeggia in apertura, il documentario ci mette di fronte invece, ad uno svariato numero di tipologie di socialità ed estradizioni, l’artista funge da mezzo di incontro di un gruppo di fruitori multiclasse, hai riscontrato anche tu tutto ciò? Sei d’accordo? O pensi ci sia un collocazione più precisa del seguito del fenomeno?

Assolutamente d’accordo. Gigione è il cantante più globalizzante di tutti. A bordo palco si incontrano casalinghe, metallari, operai, avvocati, assessori, parroci, farmacisti, imprenditori, studenti. Di qualsiasi età, di ogni regione d’Italia. Ad un concerto di Palinuro ho incontrato una coppia di Cologno Monzese che aveva prenotato le vacanze in zona appositamente per sentirlo quella sera. Ognuno va a ad ascoltarlo per un motivo. Chi perché lo venera, chi perché lo beffeggia, chi perché si diverte. Al di là di questo si crea un indotto, fatto di zucchero filato, panini, birre, souvenir. Un cosmo interessante da osservare. Parliamo di un pifferaio magico che nel corso di tre decenni ha scoperto l’algoritmo per attirare pubblici così vasti. Quell’algoritmo credo si nasconda nella semplicità di arrangiamenti e testi. Ma attenzione: per raggiungere la semplicità bisogna attraversare sentieri molto complessi”.

L’artista oltre a sentirsi forte di questa sua veste di personaggio “Gigione”amatissimo, si mostra anche nelle vesti di uno dietro il palco, la fragilità di un uomo allo specchio svestito di quel costume che è il suo cappello e la maglietta, sottolineando la stanchezza di una vita fatta di tournèè e orari impossibili, qual è l’immagine trasposta che ci hai voluto dare di quest’uomo e come hai trovato tu l’uomo dietro le telecamere? Le impressioni.

Volevo che il documentario risultasse contraddittorio come Gigione stesso. Raccontarlo epicamente e poi farlo precipitare un secondo dopo. Farlo risultare simpatico e fastidioso. Passare dai palchi alla cucina di casa, dalla frenesia al silenzio. Per molti è un Dio, una specie di supereroe che si prende carico della sottosocietà nascosta in periferia. Come ogni supereroe, terminata la missione si spoglia di maschera (cappello) e arma (microfono) per tornare alla normalità. Peccato che quella normalità, nel caso di Gigione, corrisponda sempre ed esclusivamente all’apologia di sé stesso. Persino nel privato”.

L’altra “b-sides” forte del documentario è stato nel sottolineare il ruolo fondamentale della band, quasi del ruolo di seguaci del loro guru, è così? Nel tuo intento di dare tanto spazio a questi compagni di viaggio.

I suoi collaboratori sono il vero cavallo di troia per raccontarlo e raccontare il contesto in cui sguazza da anni. Parliamo di cinque, sei intellettuali di strada, dotati di una filosofia della porta accanto, in grado di sintetizzare concetti astrusi in poche battute. Sono debitori nei suoi confronti di una vita agiata che non capita a tutti i musicisti, ma devono altresì sottostare ad una personalità forte come la sua, che pretende un controllo scrupoloso su ogni attività, dal brano al concerto, dalla vendita di dischi ai rapporti con la siae”.

Come è stato il processo di lavorazione del documentario e se hai riscontrato delle difficoltà, ovviamente non solo da un punto di vista tecnico.

Quattro anni fa ho contattato Gigione esprimendogli l’intenzione di seguirlo in un documentario, senza avere limiti di qualsiasi tipo. Per un anno non mi ha risposto. Una mattina ha voluto incontrarmi e ho avuto modo di spiegargli il progetto, sottolineando l’assoluta indipendenza con cui volevo declinarlo. Non avrebbe avuto alcun potere editoriale sulle immagini. Devo dire che si è fidato, percependo la mia buona fede. A quel punto ho chiesto alla produzione di equipaggiarmi con una macchina da presa e basta.

Non volevo altre persone di troupe, per evitare di inibire chiunque capitasse davanti all’obiettivo. Ho girato non continuativamente per due anni, toccando praticamente ogni regione d’Italia più una porzione di Svizzera. La post è stata altrettanto meticolosa, perché un documentario fondamentalmente si scrive al montaggio e, incredibilmente, mi sono ritrovato con centinaia di gigabyte cui dare un senso logico”.

Cosa è previsto in merito alla distribuzione del film? Quali sale lo trasmetteranno, se sono previsti incontri pubblici e secondo te come reagirà il pubblico, anche nei confronti dei curiosi del fenomeno sociale che non seguono l’artista.

Il 18 gennaio cominceremo con i grandi poli cinematografici delle città campane. Dal 25 in poi la distribuzione si estenderà al resto d’Italia. Un traguardo unico per il genere documentaristico, dettato forse dall’enorme curiosità che ruota attorno al progetto nel bene o nel male. L’importante è non farsi coinvolgere minimamente dall’idea che si tratti di un biopic su Gigione. Quest’ultimo è il pretesto per raccontare qualcosa di più profondo e radicato. Non conosco le reazioni del pubblico potenziale. So solo che questo documentario si rivolge a spettatori che non hanno nulla a che vedere con la realtà di Gigione, ma la costeggiano in maniera fugace. Approcciare ad un mondo distante così distante da noi è la premessa per non rimanere incastrati nel pregiudizio”. 


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