Camilleri: “Salvini? Stesso consenso che c’era per Mussolini. Tira fuori il peggio di noi”


Le posizioni estremiste del Ministro dell’Interno Matteo Salvini stanno lasciando interdetti molte personalità importanti e non solo della politica. Lo scrittore Andrea Camilleri, tra gli altri, sembra essere preoccupato per questo clima di odio e razzismo che sta venendo fuori dall’italiano medio. Salvini sta cacciando il peggio di noi? Probabilmente sì e lo teme Camilleri.

In un’intervista rilasciata a La Repubblica lo scrittore siciliano ha dichiarato: “Non ho rimpianti per il passato. Però questo è davvero un brutto passaggio nella storia italiana che temo non abbia paragoni con altri periodi. Un paese che torna indietro, come i gamberi. È come se avesse cominciato a procedere in senso inverso, smarrendo le importanti conquiste sociali che aveva realizzato in passato. Se devo essere sincero, io non riconosco più gli italiani”.

Sono affermazioni molto forti quelle sostenute da Camilleri, d’altronde tra la campagna elettorale ed ora che è ministro, Salvini ha sempre lanciato campagne di odio, ha sempre usato delle frasi dure per parlare di problemi seri. Infatti, proprio questo clima pesante alimentato dalle sue frasi del tipo “Faremo un’anagrafe per cacciare i rom”, oppure “ruspe contro i rom”, preoccupa lo scrittore, lui che ha vissuto il periodo mussoliniano.

“Non voglio fare paragoni ma intorno alle posizioni estremiste di Salvini avverto lo stesso consenso che a dodici anni, nel 1937, sentivo intorno a Mussolini. Ed è un brutto consenso perché fa venire alla luce il lato peggiore degli italiani, quello che abbiamo sempre nascosto”.

“Prima di tutto il razzismo. Noi ci siamo riparati dietro l’immagine stereotipata di ‘italiani brava gente’, ma non è sempre stato così, specie nell’Africa Orientale. Su questo preferisco sorvolare. Però ricordo ancora le scritte che mi accoglievano a Torino negli anni Sessanta quando andavo a lavorare nella sede Rai: ‘Non si affittano case ai meridionali'”.

“Una delle mie più grosse pene è proprio questa: a novantatré anni, a un passo dalla morte, mi trovo a lasciare a nipoti e pronipoti un’Italia che non mi aspettavo di lasciare in eredità. I miei uomini politici si chiamavano De Gasperi, Togliatti, Nenni, Sforza. Avevano un preciso concetto dello Stato e di quello che si poteva fare del paese. Abbiamo ricostruito l’Italia, ora la stiamo risfasciando. Per questa ragione sento di aver fallito come cittadino italiano. E mi pesa molto”.


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