Il Napoli è fuori dall’Europa League, ma il vero fallimento è nel gioco


La dead line aveva una scadenza precisa. Sospesi i giudizi dopo il  rovinoso ko di Londra, la stagione del Napoli arrivava ad un punto di svolta. Negativo o positivo. L’esito del return match di Europa League è impietoso. Il primo anno con Ancelotti in panchina può definirsi concluso, perché a meno di tragiche cadute in campionato il secondo posto dello scorso anno è stato confermato.

L’uscita prima dalla Coppa Italia, quello dall’Europa League poi e il netto distacco dalla Juventus a 6 giornate dalla fine del campionato consentono di tracciare un bilancio di una stagione costellata da polemiche e malumori tra i tifosi partenopei.

L’eliminazione di questa sera rappresenta la conferma di un tracollo tecnico a pochi mesi di distanza dall’addio di Sarri che aveva lasciato un’eredità d’oro a Carletto e alla società. Una macchina perfetta, capace di spingersi anche oltre i propri limiti. Un parco giocatori tutt’altro che depauperato al netto del mancato turnover.

Non è l’uscita contro l’Arsenal a spostare i giudizi, perché gli inglesi sono più forti, belli e ricchi del Napoli. Ma è un’involuzione nel gioco e nella personalità a far riflettere. Dopo una Champions League giocata bene ed un inizio tutto sommato positivo in campionato, l’undici azzurro si è progressivamente spento.

Il tentativo di modificare quell’assetto ereditato è miseramente fallito. Ad ogni partita la bellezza del gioco è sfumata sempre di più lasciando il posto ad errori e orrori individuali e di squadra.

Quel congegno eccezionale si è inceppato, Carlo Ancelotti non ha trovato la chiave per cambiare pelle ai suoi ragazzi. Il Napoli ha vinto molte partite, perché tecnicamente superiore all’avversario. Ma sul piano del gioco ha fatto molti passi indietro. E anche i risultati degli ultimi mesi lo confermano.

Che ci fosse bisogno di rinnovarsi era inevitabile. Sarri aveva spinto la sua rosa al massimo, forse addirittura di più. Un limite ampiamente superato. Ma ciò che desta preoccupazione è stata l’incapacità di trovare nuovi protagonisti: Ruiz, Verdi, Zielinski, per citarne alcuni, sono andati a fasi alterne. E la squadra ne ha risentito parecchio. Le partenze di Jorginho e dell’ex capitano Hamsik hanno fatto il resto.

Da luglio ad aprile, in 10 mesi il Napoli è riuscito a perdere una identità precisa diventando un ibrido. Né carne, né pesce. Ed è precisamente questo il reale fallimento progettuale della società. Ha smesso di divertire, abbandonando il bel gioco senza incamminarsi concretamente in un’altra direzione.

 

 


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