“Tolo Tolo”: quando il dramma dei migranti incontra il degrado degli italiani


Non sorprende affatto che Tolo Tolo, il nuovo film di Checco Zalone, abbia incassato 8.680.232 euro solo il primo giorno. Il comico pugliese aveva suscitato curiosità, polemiche, e persino indignazione solo pubblicizzando il film con il noto videoclip “Immigrato”. Eppure, chi si aspettava di assistere alla storia di un migrante che affronta le difficoltà e i pregiudizi degli italiani, è rimasto sorpreso dalla storia del film… in cui i migranti diventiamo noi.

Proprio così. Nessun africano in cerca di fortuna nel Belpaese, nessun italiano infastidito dagli stranieri che gli “rubano il lavoro” (e molto altro), come potrebbe apparire dal videoclip. Anzi, in “Tolo Tolo” è Checco Zalone che si trova ad emigrare verso l’Africa. Dopo una vita segnata dai debiti, dalla pressione fiscale ai limiti dell’impossibile, e dall’ennesima idea imprenditoriale fallita, il protagonista ha le idee chiare: trovare un posto in cui sia ancora possibile sognare.

È così che Checco comincia a lavorare come cameriere in Kenya, e poco dopo sogna anche di aprire un suo ristorante. Il Kenya sembra avere tutti gli attributi di un Paradiso terrestre: zero controlli fiscali, zero pressioni, nessuno che rivendica i propri diritti. Ma Checco non ha fatto i conti con la delicata situazione politica locale, e si ritrova presto nel bel mezzo di una guerra civile.

È da qui che comincia il dramma del film. Checco Zalone lascia per un attimo da parte l’ironia leggera che ha caratterizzato le sue pellicole precedenti, e ci racconta il lungo viaggio dei migranti. Il film ci mostra la realtà nuda e cruda di chi si ritrova costretto da un giorno all’altro a lasciare la propria casa, attraversando il deserto, sopportando la fame e la sete in cerca di un futuro migliore.

La vena comica, però, è data dal fatto che in questa situazione il vero disadattato è il protagonista. Un italiano cresciuto tra gli agi di una società moderna, con le sue sacre abitudini a cui non può rinunciare, si ritrova nel bel mezzo del deserto. Non ne uscirebbe vivo, se non fosse per l’aiuto dei suoi compagni di viaggio, che si sottopongono a umiliazioni ed escogitano stratagemmi anche rischiosi pur di arrivare alla meta.

Eppure, guardando “Tolo Tolo” nasce spontanea un’altra domanda. Gli africani che arrivano alle nostre coste troveranno davvero una società “civile” come la immaginano? Dal film non sembrerebbe. Dopo lo scoppio della guerra civile in Kenya, Checco risulta infatti disperso. Questa notizia fa intravedere alla famiglia un’occasione per ottenere un risarcimento e risanare i debiti che ha lasciato. Così, mentre il protagonista affronta il lungo viaggio verso casa, i parenti fanno a gara per dichiararlo morto.

Tutti si sforzano di recitare la parte delle vittime addolorate della follia terrorista, e il loro diventa naturalmente un caso nazionale. Nulla di più semplice, in un’Italia sempre pronta a puntare il dito contro gli immigrati e contro i paesi “incivili”. Uno Stato in cui il grido “Prima gli italiani!” basta a scaldare gli animi e a unirli tutti contro un presunto nemico comune, in cui un perfetto sconosciuto (anzi, un “prefetto” sconosciuto) diventa da un giorno all’altro Ministro degli Esteri.

Insomma, gli “attacchi di fascismo” che colpiscono Checco nel corso del viaggio sono passeggeri. Ma il degrado intellettuale e morale che affligge l’Italia sembra molto lontano dall’essere superato. Lo stesso “Tolo Tolo” non pretende di offrire soluzioni a un problema così complesso, ed è per questo, probabilmente, che non ha un finale ben preciso.

Ma all’Italia di oggi, probabilmente, non servono soluzioni preconfezionate. Servono invece film come questo, in grado di proiettarci contemporaneamente in realtà a noi vicine e lontane, e di farci esaminare nel profondo la nostra condizione. Di cittadini, di migranti, e soprattutto di persone.

 


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