Coronavirus, Giulio Tarro: “Il vaccino non serve. Italia e Lombardia hanno perso tempo”


Coronavirus. A parlare è Giulio Tarro, nato nel  1938, laureato all’Università Federico II con il massimo dei voti, allievo di Sabin (il virologo cui si deve il vaccino contro la poliomielite) e poi due volte candidato al Nobel per la Medicina. Protagonista di battaglie come quella contro la Sars e contro la sindrome respiratoria del medio oriente, a livello nazionale è conosciutissimo soprattutto per aver contribuito a sconfiggere il colera.

Il famoso virologo, ex dipendente dell’ospedale Cotugno ormai in pensione, si esprime sulla questione di un ipotetico vaccino per sconfiggere il Covid-19. Secondo il suo punto di vista potrebbe essere inutile.

Intervistato da Businessinsider sono queste le sue parole: “Se il virus ha come sembra una variante cinese e una padana, sarà complicato averne uno che funziona in entrambi i casi esattamente come avviene per i vaccini antinfluenzali che non coprono tutto”.

“Oggi ci si informa su internet, alla mia età e dall’alto della mia esperienza mi tengo alla larga. Ho isolato il vibrione del colera a Napoli, ho combattuto l’epidemia dell’Aids e ho sconfitto il male oscuro di Napoli, il virus respiratorio ‘sincinziale’ che provocava un’elevata mortalità nei bimbi da zero a due anni affetti da bronchiolite”. Dice riguardo allo scontro avuto con Roberto Burioni, il quale asseriva che “A inizio febbraio,  il rischio di contrarre il virus fosse zero perché in Italia non circolava”, quando invece già stava circolando da un po’ di tempo.

L’unica strada percorribile secondo lui è l’attuazione di una terapia antivirale che potrebbe essere messa a punto già in estate: “Una cura che potrebbe arrivare anche per l’estate. Spero che la scienza e il caldo possano essere alleati. E confido che potremo andare a fare i bagni. Troppa gente parla del coronavirus senza avere il supporto dei dati scientifici e senza le giuste conoscenze”.

Secondo Tarro, sull’argomento Covid-19 c’è solo un gran polverone in quanto, non avendo la stessa mortalità della Sars, non è mortale per il 96% degli infetti.

Riguardo la situazione critica nel sistema sanitario lombardo invece afferma che la possibile causa potrebbe essere che “Tra il 1997 e il 2015 sono stati dimezzati i posti letto in terapia intensiva. E, peggio, non siamo stati abbastanza veloci a riparare i danni”.

La lentezza secondo lui ha ingigantito la portata del virus perché “L’Italia e la Lombardia in particolare hanno perso troppo tempo tra la dichiarazione dello stato d’emergenza del 31 gennaio e l’attivazione di misure ad hoc per fronteggiare l’emergenza. Perché quando abbiamo avuto le notizie dalla Cina, i francesi sono intervenuti subito sui posti in terapia intensiva e noi no? Abbiamo preferito bloccare i voli con la Cina: una misura davvero inutile. Per non parlare poi del caos mascherine. La verità è che all’inizio non le avevamo quindi si diceva che dovessero usarle sono medici e pazienti, poi siamo diventati produttori di mascherine e quindi diciamo che servono a tutti. È incredibile, bisognava dire a tutti subito di usarle e di mantenere le distanze, invece, è stato fatto un pasticcio dopo l’altro. Si voleva blindare la Lombardia come la Cina e poi si è permesso a migliaia di persone di migrare al sud… Francamente non si è capito quale sia stato l’approccio del governo e le misure di contenimento sono state prese in ritardo”.

Un altro ostacolo sarebbe rappresentato dalle strategie di comunicazione adottate. Infatti secondo lui “L’allarme è fonte di stress e lo stress, paradossalmente, determina un calo delle difese immunologiche”.

Queste le sue tre ipotesi sulla possibile e tanto attesa fine della pandemia: “Potrebbe sparire completamente come la prima Sars; ricomparire come la Mers, ma in maniera regionalizzata o diventare stagionale come l’aviaria”.


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