Marito e moglie portati via dal Covid, la nipote: “I miei zii abbandonati a loro stessi”


Aveva sconvolto Napoli la storia di Anna Gentile e Vincenzo Esposito, i due coniugi portati via dal Coronavirus a pochi giorni di distanza. Il marito Vincenzo era un commerciante di via Salvator Rosa, molto conosciuto nella zona. Questa è la lettera scritta, a distanza di due mesi, dalla nipote Emma Vinciprova e pubblicata da Fanpage.

I primi giorni di marzo i miei zii, Anna Gentile e Vincenzo Esposito, iniziano ad accusare sintomi simil-influenzali. Nausea, dolori muscolari, stanchezza. La febbre è costantemente alta. Dopo qualche giorno si ritiene opportuno chiamare il “1500”, uno dei numeri attivati per l’emergenza da covid-19, ma la risposta ottenuta è di rivolgersi a un medico curante”.

Ai due coniugi tocca attivarsi da soli per ricevere un tampone, e il 17 marzo entrambi vengono accompagnati in ospedale. […] Mia zia, che all’atto della misurazione della temperatura aveva 39.9 di febbre, durante l’attesa sviene e viene portata all’interno della struttura, dove forse le danno un antipiretico, fatto sta che la febbre scende di poco sotto i 37″.

L’aspetto più strano della vicenda è che alla donna viene rifiutato il tampone, mentre il marito Vincenzo lo può effettuare. Dopo due giorni, l’uomo scopre di essere positivo, e nello stesso giorno si rende necessario il ricovero in terapia intensiva: Vincenzo Esposito ha un polmone collassato.

I miei cugini non hanno ricevuto aggiornamenti ufficiali dall’ospedale circa le condizioni di mio zio durante la terapia intensiva”, racconta Emma. “Nonostante un caso accertato di Covid-19, né a mia zia, che intanto si aggrava, né a mia cugina che vive con i genitori insieme al compagno e al loro figlio di 15 mesi, effettuano il tampone. Sono tutti in quarantena, hanno fatto tutto da soli.

Le cure non funzionano e si arriva all’epilogo il 24 marzo. Mia zia sta male, è assente, manca di lucidità. Tossisce e ha difficoltà a respirare, è cianotica, le labbra viola. Vengono fatte ripetute chiamate al 118, non credono che una donna di 55 anni senza patologie pregresse possa avere difficoltà a respirare, riattaccano.

Altra chiamata, chiedono di parlare con la signora, chiedono di attendere perché la situazione in città è critica, consigliano di comprare una bombola dell’ossigeno senza nemmeno darne istruzioni per l’utilizzo. I miei parenti sono stati abbandonati a loro stessi“.

Quando arriva l’ambulanza è ormai troppo tardi: durante la corsa al pronto soccorso la donna va in arresto cardiaco e non ce la fa. Dopo Anna Gentile, i primi giorni di Aprile si spegne anche il marito Vincenzo Esposito. Una tragedia immane alla quale i parenti non riescono a dare un senso. “I giorni passano”, spiega Emma, “ma non riusciamo a smettere di pensare che forse almeno mia zia, se avesse ricevuto cure tempestive, si sarebbe potuta salvare”.

“Non accetto che in una regione dove i contagi sono stati molto inferiori rispetto alle tre regioni più colpite ci sia stata da subito carenza di posti, non accetto che per trent’anni la sanità pubblica italiana sia stata smantellata, che dal 2010 ad oggi abbiamo 70 mila posti letto in meno”. La nipote di Anna e Vincenzo conclude: “Non vogliamo un Paese di eroi, vogliamo un sistema efficiente“.


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