Morto a 102 anni Sergio Lepri, storico ex direttore Ansa: raccontò le Quattro Giornate di Napoli


E’ morto all’età di 102 anni Sergio Lepri. Una vera colonna portante per il giornalismo dato che è stato il direttore dell’Ansa per quasi 30 anni, dal 1962 al 1990. Un pezzo di storia che va via portando con sé tutto il suo sapere ed esperienza.

Durante il fascismo, aveva diretto l’organo clandestino del Partito Liberale ”L’ opinione” per poi lavorare alla ‘Nazione del popolo” di Firenze e al ”Mattino dell’Italia centrale”. Tantissimi i libri scritti da lui per chi vuole intraprendere questa professione. Nella storia resteranno però alcuni suoi articoli, alcuni legati al ’43 e alla liberazione dell’Italia dai nazisti. Lepri scrisse infatti il suo racconto delle Quattro Giornate di Napoli oltre che della liberazione di Capri e il salvataggio di Benedetto Croce.

Questo il testo:

“Dopo tre giorni di combattimenti Napoli è oggi, 30 settembre, una città libera. Gli ultimi reparti tedeschi hanno lasciato la città in nottata e i reparti della quinta armata americana arriveranno forse domani. Nella sede del liceo “Sannazzaro” al Vomero il professore Antonio Tarsia, 70 anni, capo di uno dei comandi degli insorti, dichiara di assumere temporaneamente i pieni poteri civili e militari. C’è ancora da ripulire qualche quartiere, dove cecchini fascisti sparano all’impazzata, in piazza Montecalvario, al Largo della Carità, a Porta Capuana. Alle 11.30 scariche di fucileria anche al Vomero, contro le finestre del liceo. L’insurrezione è cominciata il 27, quasi per caso1. È stata una rivolta popolare, specie di giovani, di “scugnizzi”, la generazione che verrà chiamata dei “guagliune surdate”. Nessuno l’ha organizzata, non c’erano comitati rivoluzionari, c’era soltanto un popolo che finalmente, all’improvviso, si è ribellato, giovani e vecchi, contro le violenze, le prepotenze, le angherie, le ruberie dei tedeschi; insomma la rabbia della gente contro l’odio che l’esercito tedesco le aveva manifestato da giorni, mostrando di avercela non con il nemico, gli angloamericani, ma proprio con loro, i napoletani.

L’ultima mascalzonata i tedeschi l’hanno fatta la notte scorsa a San Paolo Belsito, nei pressi di Nola, dove in una villa era stata portata, per preservarla dai bombardamenti, una gran parte dell’archivio storico di Napoli, nato nel 1808 con Gioacchino Murat. Un reparto tedesco in ritirata gli ha dato fuoco, così, per dispetto, e sono andati distrutti, fra gli altri, tutti i 378 volumi in pergamena che costituivano la Cancelleria dell’epoca angioina. Fino a un mese fa i tedeschi non si erano comportati male con i napoletani e i napoletani con i tedeschi. Semmai i napoletani ce l’avevano con gli angloamericani, che dall’inizio della guerra hanno bombardato la città più di cento volte (addirittura 181 ha scritto qualcuno, contando anche i bombardamenti minori).

Il bombardamento più terribile è stato il 4 agosto, perché tutti ricordassero che, come aveva detto Badoglio il 25 luglio dopo l’arresto di Mussolini (“la guerra continua”), la guerra non era finita. Una formazione di quattrocento B24 americani, i quadrimotori che saranno chiamati “fortezze volanti”, ha sganciato bombe da 500 libbre non solo sul porto, ma in tutta la città. Il bombardamento è durato dalle 13,35 alle 14,50. Non è stato risparmiato niente, né il Palazzo Reale, né gli alberghi di via Caracciolo, né le strade più famose, Chiaia, Piedigrotta, piazza del Plebiscito. Il Monastero di Santa Chiara, la basilica gotica trecentesca, e parte del settecentesco chiostro delle Clarisse con le sue belle maioliche, sono andati in fiamme, e l’incendio è durato 48 ore. I civili morti sono stati più di tremila. Una tragedia è stata anche il 28 marzo, quando nel porto, davanti al rione di Sant’Erasmo, è saltata in aria la motonave “Caterina Costa”, carica di materiale bellico destinato alle forze armate italiane in Tunisia: 790 tonnellate di carburante, 1700 tonnellate di munizioni, tanti carri armati e alcune centinaia di militari italiani e tedeschi. Parti roventi di nave e di carri armati sono finite in via Atri e in piazza Carlo III; altri pezzi hanno raggiunto piazza Mercato e il Vomero ed altri ancora hanno incendiato vagoni in sosta alla stazione Centrale.

Anche l’inizio di questo drammatico settembre ha visto cadere bombe sulla città; il primo del mese e il pomeriggio del 6; anche il 7 e l’8. E così i morti dall’inizio della guerra sono saliti a più di 22 mila, decine di migliaia i feriti, più di centomila gli appartamenti distrutti. Nel rapporto fra napoletani e tedeschi tutto è cambiato l’8, subito dopo l’annunzio dell’armistizio. Converrà raccontare dall’inizio la storia di questo drammatico mese di settembre; non solo le “quattro giornate”, dal 27 al 30, ma anche quello che è accaduto nei venti giorni che le precedono. 8 settembre, sera. Con la mancanza della corrente elettrica in molti quartieri della città pochi hanno ascoltato il comunicato letto alla radio da Badoglio un po’ prima delle 8. La notizia però circola subito per la città, molta folla si raduna in piazza del Plebiscito, dove è la sede del Comando della difesa territoriale. La notizia viene confermata. Uno scroscio di applausi e grida di “pace, pace”. C’è gente che si abbraccia, che urla, che piange. A un certo momento si alza una voce, è di un maresciallo di fanteria3: “Ricordatevi che non siamo soli in casa. Conteniamo la nostra gioia per non offendere coloro che finora hanno combattuto al nostro fianco e che sono nostri ospiti”.

Ospiti? In città ci sono alcune centinaia di soldati tedeschi addetti ai comandi e alle batterie contraeree e un gruppo di combattimento della divisione “Göring” acquartierata nei dintorni: con la 15a divisione a Villa Literno e la 16acorazzata nel Salernitano; ventimila uomini in Campania, duemila a Napoli. Gli italiani sono di più: il XIX corpo d’armata al comando del generale Riccardo Pentimalli (la divisione “Pasubio” e cinque battaglioni delle difesa costiera) e le truppe territoriali al comando del generale Ettore Del Tetto. In città un totale di novemila uomini contro i duemila tedeschi.
La mattina del 2 un tenente colonnello è partito in auto dallo Stato maggiore dell’esercito a Monterotondo per portare al Comando della 7a armata a Potenza la Memoria 44op4 con le disposizioni da trasmettere ai Comandi dipendenti (quindi anche a Napoli) sull’atteggiamento da tenere con i tedeschi nell’ipotesi di loro azioni aggressive. La Memoria o, almeno, una sintesi della Memoria è arrivata in tempo utile anche ai generali Pentimalli e Del Tetto? Probabilmente no. La Memoria, comunque, non parla dell’armistizio imminente e contiene ordini generici (vigilare, evitare sorprese, rinforzare le protezioni, presidiare edifici e Comandi e così via).

I Comandi tedeschi hanno invece da tempo disposizioni precise e hanno già deciso che cosa fare. Nella notte fra l’8 e il 9, subito dopo l’annunzio dell’armistizio, occupano aeroporti, batterie costiere, posti di avvistamento e cominciano a stabilire blocchi stradali. Il 9, giovedì. Arriva la notizia che nella notte gli angloamericani hanno cominciato lo sbarco a Salerno. I tedeschi intensificano le loro operazioni. Richiesto di istruzioni, il generale Del Tetto, che comanda la difesa territoriale, risponde ai Comandi locali: “Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare”. Il generale Pentimalli dirama un’ordinanza ai cittadini: per evitare incidenti con i tedeschi sono vietati gli assembramenti. Il 10, venerdì, e sabato 11. I tedeschi occupano gli aeroporti di Capodichino e di Pomigliano d’Arco. In Campania a nord e a sud di Salerno crolla tutto il sistema di copertura costiera e cadono le guarnigioni di Capua, Aversa, Caserta, San Giorgio a Cremano. A Napoli i tedeschi attaccano la caserma “Regina Elena” e le caserme dei carabinieri di San Potito e di Poggioreale. Nel pomeriggio il maggiore Di Gennaro, ufficiale italiano di collegamento presso la divisione “Göring”, si presenta al generale Pentimalli con la richiesta tedesca di consegna delle armi. Il comandante del XIX corpo d’armata respinge la richiesta e risponde che “se i tedeschi si impegnano a non commettere atti di violenza contro la popolazione civile, farà tenere le truppe nelle caserme”.

In quelle stesse ore un episodio nella vicina cittadina di Nola – il primo episodio grave – spiega quello che sta per accadere e accadrà anche a Napoli. Tre ufficiali del 48o reggimento artiglieria comandato dal colonnello Di Pasqua escono dalla caserma in piazza d’Armi. Una autoblindata tedesca della divisione “Göring” li ferma e l’equipaggio chiede loro la consegna delle armi. I tre ufficiali rifiutano. I tedeschi ripetono con arroganza l’ingiunzione con i mitra puntati. Gente scende dalle case e qualche civile ha un fucile. È difficile dire chi spara per primo, ma c’è una sparatoria di militari e di civili e un militare tedesco cade a terra morto. I suoi compagni lo portano via e l’autoblindata si ritira.
La mattina seguente il colonnello Di Pasqua decide di inviare con una bandiera bianca un ufficiale, il tenente Odoardo Carrelli, seguito da un altro ufficiale, due sottufficiali e tre soldati, a parlamentare col comandante del reparto tedesco per tentare di comporre l’incidente. La risposta è una raffica di mitra che uccide il tenente Carrelli.
I tedeschi fanno sapere di ritenersi soddisfatti: un morto per parte. Chiedono di ottenere del carburante; entrano in quaranta nella caserma, accolti dal comandante del reggimento e dal corpo di guardia. Appena entrati, spianano i mitra e li disarmano. Poi costringono il comandante a fare uscire gli artiglieri; fanno allineare il comandante Di Pasqua e altri nove ufficiali scelti a caso e li fucilano (e poi uno sparo di pistola alla nuca, per sicurezza) davanti alla truppa, che viene fatta prigioniera. “Questa è la rappresaglia” dice l’ufficiale tedesco “per il nostro camerata ucciso ieri. Così la divisione Herman Göring punisce i traditori”. Nelle giornate dell’11 e del 12 a Napoli i tedeschi vincono le ultime resistenze. Occupato il palazzo dei telefoni, occupata la caserma dei carabinieri “Pastrengo”. A Castel dell’Ovo, dove si sono barricati venti artiglieri del 21o centro di avvistamento e una quarantina di civili, un carro armato e alcune autoblindate aprono una breccia; militari e borghesi vengono catturati e fucilati in fila in via Partenope.
Nel pomeriggio del 12 carri armati e artiglieria leggera circondano l’università e ammassano nel Rettifilo seimila parsone, fra cui donne e bambini. Sfondano con una cannonata la porta dell’università, non trovano “ribelli” all’interno, come credevano, né armi né munizioni; allora versano benzina dovunque e danno fuoco, dopo essersi impadroniti degli strumenti del reparto scientifico. Ai seimila tolgono orologi e portafogli. Cominciano così anche i saccheggi: di una sartoria in via Mezzocannone, di una farmacia in piazza Nilo, dei magazzini “Unica” e di un magazzino di radiogrammofoni nel Rettifilo.

Ma chi è il comandante dei tedeschi a Napoli? È un certo Scholl, colonnello; di lui si sa poco o niente8, neppure il nome, se Hans o Walter. Qualcuno dice che ha ricevuto un ordine, giunto per corriere da Berlino: “In caso di avanzata degli angloamericani sbarcati a Salerno non abbandonare Napoli prima di averla ridotta in cenere e fango”. Il 12 il colonnello Scholl firma (proprio così: “Firmato Scholl colonnello”) un proclama che sarà affisso domani sui muri della città:
“1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni. “2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell’autore verranno distrutti e ridotti a rovine. Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte. “3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino. “Esiste lo stato d’assedio“. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un’arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. “. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile”.
Nessun civile obbedisce all’ordine di consegna delle armi e nella giornata del 12 e il lunedì 13 vengono uccisi decine di militari italiani e 27 civili nelle vie della città; 185 persone sono ricoverate negli ospedali. Più di quattromila militari e cittadini sono fatti prigionieri e trasportati alla stazione per essere deportati.9 Le caserme sono state aperte; i militari in fuga o catturati. Il generale Pentimalli e il generale Del Tetto prima si rifugiano in convento, poi in abitazioni civili; si vestono in borghese e poi lasciano la città10. Il 13, lunedì, Napoli vive una giornata di incubo. Oltretutto la razione di pane, ridotta progressivamente da 200 grammi a 150 e poi a 50, viene soppressa del tutto.
È la fame per un milione di persone. E poi rastrellamenti, fucilazioni, saccheggi, carri armati che sparano contro qualsiasi assembramento. E una usanza che diventa abituale: gente che viene raccolta, a volte centinaia di cittadini, per assistere a un frequente spettacolo, una fucilazione; ora otto militari stranieri prigionieri di guerra in via Cesario Console; ora, sulle scale dell’università, un marinaio italiano, soltanto perché sospettato di essere armato.
Così nei giorni seguenti e poi, il 23, un altro proclama di Scholl: tutti gli uomini che abitano a Napoli e nei comuni di Pozzuoli e Resina, appartenenti alle classi dal 1919 al 1925, devono presentarsi per il “servizio obbligatorio del lavoro”, portando con sé il “vestiario occorrente per una lunga assenza”. Come dire: tutti gli uomini dai 18 ai 34 anni abbandonino città, casa, famiglia per andare a lavorare chi sa dove e chi sa per quanto tempo.
Ancora un proclama il giorno dopo, il 24: lo sgombero entro le 20 di tutta la fascia costiera cittadina fino a una distanza di trecento metri dal mare; in pratica 240 mila persone vengono costrette ad abbandonare le proprie case per permettere una “zona militare di sicurezza”.
Il 27 un altro folle proclama di Scholl: ” Aldecreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno risposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati”.
La fucilazione immediata di migliaia di cittadini presi nelle strade? Napoli non ne può più e questo sarà l’ultimo proclama di Scholl. Per la rivolta dei napoletani non c’è una preparazione clandestina, non ci sono piani organizzativi, non ci sono accordi e collegamenti neppure di base. Di attività politica in questa città devastata ce n’è stata poca, sia da parte fascista, sia da parte antifascista. A Napoli l’antifascismo è rimasto ai piani alti, con nomi che diventeranno famosi: Guido De Ruggiero, Adolfo Omodeo, Arturo Labriola, Manlio Rossi Doria, Emilio Sereni, Eugenio Reale, tutti all’ombra del grande maestro di pensiero e di libertà che è Benedetto Croce. E Croce prima si è riparato a Sorrento nel dicembre dello scorso anno, poi a Capri il 15 di questo mese. Qualcuno gli ha detto di un progetto tedesco di prenderlo come ostaggio.

La rivolta è improvvisa e spontanea. È difficile perfino sapere quale scintilla ha dato fuoco alle polveri. Il fatto è che il 27 gli uomini di Scholl, non avendo più niente da portare via dalle fabbriche e dai depositi, hanno cominciato fin dal primo mattino a saccheggiare i negozi. Si sa di un episodio, nel pomeriggio12: un autocarro tedesco si ferma davanti alla “Rinascente” e carica tutte le stoffe che trova; poi i tedeschi chiedono al cassiere i soldi della cassa; ma soldi non ce ne sono perché in questi giorni non si vende niente; i tedeschi insistono col cassiere, lo spingono, lo fanno cadere per terra; in un impeto di rabbia il cassiere tira fuori una rivoltella e spara; accorrono gli altri commessi e anche gente di fuori; circondano i tedeschi, li colpiscono con quello che capita loro fa le mani, si impadroniscono delle armi; i tedeschi scappano, abbandonando anche l’autocarro carico di merce.
La notizia corre nella città. Chi ha paura di essere catturato e chi ha qualcosa da salvare, tutti si riuniscono, corrono nelle caserme, dove, nascoste, ci sono ancora armi, qualche fucile, qualche bomba a mano; ma molti si armano soltanto di coltelli e di bastoni. Gli episodi sono tanti e pochi i cronisti che li racconteranno. I bersagli sono soprattutto i tedeschi che saccheggiano i negozi, poi anche quelli che camminano nelle strade, isolati o in gruppo.
Il primo scontro cruento è al quadrivio di via Scarlatti e via Cimarosa, fra giovani studenti e militari tedeschi; parecchi i morti, da una parte e dall’altra. Altri scontri a San Ferdinando, Largo della Carità, piazza Dante, via Pessina e Santa Teresa al Museo; poi, più violenti, in via Foria, a Capodimonte, San Giovanni a Teduccio, Doganella, Porta San Gennaro, Capodichino e Largo del Reclusorio. Si organizzano i primi comandi partigiani: al Vomero, a Montecalvario, al Duomo, a Chiaia, all’Avvocata, a Posillipo, a corso Garibaldi. I tedeschi reagiscono con violenza, con retate di civili, con i carri armati là dove gli insorti gli impediscono di minare strade e ponti in previsione dell’arrivo delle truppe alleate.
Un racconto12: “In via Nuova di Capodimonte è giunto verso le 15.30 un automezzo tedesco che si è fermato accanto alla stazione superiore dell’Ascensore della Sanità, quasi al centro del ponte omonimo. Dall’alto della vettura quattro tedeschi con le armi in pugno sono rimasti a scrutare la strada nelle due direzioni. Altri sono discesi, curvi sotto il peso di cassette di dinamite e, sollevato un chiusino, si sono apprestati a minare il ponte. Alcuni marinai fuggiaschi, che il portiere di uno stabile di via santa Teresa aveva nascosto in casa e provvisti di armi, sono usciti nella strada e si sono lanciati contro i guastatori sparando a bruciapelo. Vi è stato, fra gli assaliti, un momento di smarrimento, di cui i nostri hanno approfittato per impadronirsi della dinamite e farla scomparire. I tedeschi, forti delle loro pistole mitragliatrici, hanno incalzato gli assalitori fino all’altezza di via Santa Francesca a Fonseca, ma qui sono stati accolti da un violento fuoco di fucileria dalle finestre delle case, Uno di loro è morto, un altro è rimasto ferito; tutti allora sono indietreggiati, sono saliti sul loro autocarro che si è mosso veloce verso Capodimonte”.
Per ostacolare i movimenti degli automezzi e dei carri armati tedeschi sono state erette barricate, una quindicina, alcune rovesciando i tram. Quattro le più importanti, attorno alle quali si è combattuto più aspramente: tra l’angolo di via Costantinopoli e il gomito della rampa di San Potito; nei pressi dell’ospedale militare al Corso; all’angolo del vico Carlo De Cesare; la quarta era un caposaldo più che una barricata, in via santa Teresa sulla terrazza delle Maestre Pie Filippine, da dove si poteva controllare la via che viene da Capodimonte, centro delle forze corazzate tedesche. Proprio da Capodimonte, ieri, il 29, sono scesi quattro carri armati diretti verso il centro per dare man forte a un gruppo di tedeschi rimasti asserragliati nel palazzo dell’Intendenza di finanza in via Roma. Il combattimento è stato breve ma violento. Sulla terrazza sono morti quattro napoletani; uno di loro, il dodicenne Gennaro Capuozzo, sarà decorato di medaglia d’oro alla memoria.

Il bilancio degli scontri delle “quattro giornate” non sarà concorde. Secondo alcune fonti, negli scontri sono morti 170 insorti e 150 cittadini inermi. Secondo la commissione ministeriale per il riconoscimento partigiano i morti sono stati 155; nei registri del cimitero di Poggioreale sono invece 562. I combattenti, secondo la commissione, sono stati 1589, ai quali va aggiunta parte della popolazione che ha fatto una resistenza civile e non violenta.
A Napoli sarà conferita la medaglia d’oro al valor militare con la seguente un po’ retorica motivazione: “Con superbo slancio patriottico sapeva ritrovare, in mezzo al lutto e alle rovine, la forza per cacciare dal suolo partenopeo le soldatesche germaniche, sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata un’impari lotta col secolare nemico offriva alla Patria, nelle ‘Quattro Giornate’ di fine settembre 1943, numerosi eletti figli. Col suo glorioso esempio additava a tutti gli Italiani la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria. Napoli 27 – 30 settembre 1943”. Uno squadrone di Dragoni del re, il reparto inglese della 5a armata americana, entrerà in città domani alle 9 e mezzo. Il generale Mark Wayne Clark, che comanda l’armata, arriverà un’ora dopo col grosso delle truppe. L’intenzione era di fare un ingresso trionfale: Clark in piedi su un blindato scoperto in mezzo a una folla di napoletani festanti. Lo Stato maggiore ha però sbagliato tutto. Dalla statale 18 si entra nel quartiere di San Giovanni; non ci sarà nessuno nelle strade e nessuno sembrerà essere nelle case. Una città spettrale dirà poi Clark. Certo; in previsione dell’arrivo degli inglesi i tedeschi hanno minato tutte le case e gli abitanti sono scappati via da giorni. E poi, per i napoletani, è piazza del Plebiscito la piazza dove per tradizione si presentano gli eroi conquistatori; ed è in piazza del Plebiscito che il generale Clark troverà migliaia di napoletani che lo acclameranno e abbracceranno i soldati a piedi e nelle jeep e si inginocchieranno e gli baceranno gli stivali. Si capisce perché domani sera Clark invierà un messaggio alla moglie: “Ti regalo Napoli per il tuo compleanno. Ti amo Wayne”. 


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