Il Governo toglie i soldi per il Ponte sullo Stretto: saranno dirottati agli imprenditori del Nord

Salvini e il Ponte sullo Stretto


Il governo toglie 3,5 miliardi destinati al Ponte sullo Stretto di Messina per dirottarli – principalmente – agli imprenditori del Nord. Nel frattempo promette di ritrovare il denaro, spostando soltanto l’agenda dei lavori, ma la conclusione della faccenda appare già annunciata. L’infrastruttura non si farà e le risorse saranno spostate.

Un progetto sbandierato come simbolo di rilancio del Mezzogiorno si rivela, ancora una volta, un’operazione di propaganda utile a giustificare la riallocazione di fondi pubblici verso altri capitoli di spesa. Il risultato è un cortocircuito politico e finanziario che penalizza il Sud due volte: prima con il blocco o il rallentamento di investimenti infrastrutturali già programmati, poi con il definanziamento, diretto o mascherato, dell’opera-bandiera che avrebbe dovuto compensare quelle rinunce.

Tolti i fondi al Ponte sullo Stretto di Messina

A quattordici giorni dalla fine dell’anno, senza un vero confronto parlamentare sulla legge di bilancio, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha comunicato in Commissione Bilancio al Senato una riscrittura della manovra per 3,5 miliardi di euro su un totale di 18,7. Un quinto del testo modificato a colpi di emendamenti, fotografia di un esecutivo bloccato da veti incrociati e misure identitarie dei partiti di maggioranza.

Il quadro che emerge è quello di una gestione improvvisata, in cui i nodi politici vengono sciolti non con una visione strategica ma con continui spostamenti di risorse. Emblematica la vicenda dell’oro di Bankitalia, trasformata in diversivo politico e poi rapidamente ricondotta all’ovvio dopo il richiamo delle istituzioni europee. Come ha ammesso lo stesso Giorgetti, “Con la riformulazione sull’oro siamo a posto con la Bce”.

Zes, Transizione 5.0 e il Ponte che arretra

Tra le modifiche annunciate rientrano la ridefinizione della maxi Zona Economica Speciale, l’aggiustamento di Transizione 5.0 chiusa anticipatamente, il mantenimento dell’iperammortamento richiesto da Confindustria e, soprattutto, la rimodulazione dei fondi destinati al Ponte sullo Stretto. Una decisione maturata anche dopo le osservazioni della Corte dei Conti, che hanno ulteriormente complicato il percorso di una mega-opera fuori tempo massimo.

La sostanza, però, non cambia: le risorse teoricamente destinate al Ponte vengono spostate su altre voci, rinviate nel tempo con una “riprogrammazione” che somiglia più a un congelamento sine die che a un semplice slittamento tecnico. Il ponte resta evocato, ma i soldi prendono altre strade.

Una redistribuzione che penalizza il Mezzogiorno

Ricapitolando: il Sud non vede realizzate le infrastrutture ordinarie perché le risorse sono state convogliate su un progetto straordinario; quel progetto straordinario viene poi definanziato, almeno in parte, per tappare i buchi di una manovra riscritta in corsa. Il risultato finale è l’ennesimo trasferimento di risorse lontano dal Mezzogiorno, mentre l’opera simbolo resta sospesa tra annunci e rinvii.

In questo contesto si inseriscono anche nuove scelte discutibili: dal ricorso a strumenti legati al gioco d’azzardo per finanziare le Olimpiadi di Milano – Cortina, fino agli interventi sulla previdenza complementare e alle nuove tasse sulle spedizioni extra Ue, misure che colpiscono consumatori e lavoratori più che affrontare i nodi strutturali del Paese.

Il Ponte come promessa mancata

Il Ponte sullo Stretto continua così a funzionare come arma di distrazione di massa: evocato per rassicurare, accantonato quando si tratta di stanziare davvero le risorse. Una promessa ciclica, buona per le campagne politiche e per giustificare spostamenti di bilancio, ma incapace di tradursi in cantieri e sviluppo reale. Nel frattempo, le emergenze concrete – casa, infrastrutture locali, servizi – restano sullo sfondo. E il Mezzogiorno, ancora una volta, paga il prezzo di una narrazione che promette futuro mentre redistribuisce il presente altrove.

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