Quando si dice “mettere la testa a posto”: breve storia della Statua del Nilo


Dopo sessant’anni Napoli ha messo la testa a posto, quella della sfinge, parte integrante della scultura marmorea eretta tra il III e il II d.C, la Statua del Nilo, nel Largo Corpo di Napoli, zona conosciuta anche col nome di Piazzetta Nilo.

Il restauro, realizzato dal Comitato per il Restauro della Statua del Corpo di Napoli grazie alla raccolta fondi di 16 esercizi commerciali, 1060 cittadini ed enti pubblici, si è concluso prima delle scadenze previste e ieri, finalmente, la statua è stata presentata al pubblico presente. A fare da cornice all’evento gli studenti delle classi V A primaria, III C e III D secondaria dell’Istituto Comprensivo Teresa Confalonieri, che hanno mostrato la scultura, privandola del velo, e le note della Fanfara del X Reggimento Carabinieri Campania in piazza San Domenico Maggiore.

Largo Corpo di Napoli - Statua del dio Nilo

Statua del Nilo

La statua, creata nel periodo greco-romano, fu voluta dagli Alessandrini, i coloni nilesi, per ricordare il fiume Nilo, da sempre percepito quale divinità portatrice di prosperità e benessere alla terra natia. Ciò non infastidì i napoletani che, allora come oggi, mostrarono il loro essere disponibili ad accogliere le tradizioni di popolazioni altre e, di conseguenza, incominciarono a circolare nella città partenopea una serie di culti totalmente contrari alle credenze riconosciute. Essi furono la causa della decapitazione della statua, prima, e della sua scomparsa dopo. Per moltissimi anni dimenticata, la scultura, già acefala da qualche tempo, fu ritrovata nella seconda metà del XV secolo, quando, in pieno Medioevo, secondo Bartolomeo Capasso, furono realizzati i lavori di demolizione dell’antico edificio del seggio di Nilo. In quanto acefala, si pensò erroneamente rappresentasse il corpo di una donna, ipotesi rafforzata dalla presenza di un bambino che beve dal capezzolo del dio. Solamente nel 1657 la statua fu posta su un basamento, o meglio su quello che viene definito “sedile” di marmo, recante un’epigrafe in latino che narrava le vicissitudini subite da questo importante pezzo di storia e cultura partenopee. Nello stesso periodo, l’opera marmorea fu restaurata dallo scultore Bartolomeo Mori, che restituì al corpo la testa mancante, integrandolo con quella di un uomo dalla lunga e saggia barba, sostituì il braccio destro e vi apportò la cornucopia, adornata con fiori e varia natura. Aggiunse, inoltre, la testa del coccodrillo presso i piedi del dio, e la testa della sfinge sotto il braccio sinistro e i vari putti. Altri restauri furono compiuti nel corso del XVIII e del XIX secolo, tutti vanificati dal fatto che, nel secondo dopoguerra, la statua fu nuovamente depredata : due dei tre putti furono staccati dal pezzo di marmo e rubati, proprio come la testa della sfinge, ritrovata nel 2013 in Austria dal Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri.


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