E fu così che il lupo mangiò l’agnello


Quasi tre mesi fa, conosciuti i risultati delle elezioni, sia il Movimento 5 Stelle che il centrodestra hanno cantato vittoria affermando che avrebbero governato l’Italia. Entrambi non avevano i numeri per governare, e lo sapevano bene, tuttavia hanno preferito assumere l’atteggiamento del vincitore al quale era dovuto l’affidamento del paese.

Allo stesso tempo, però, asserivano di essere disposti ad accogliere nel proprio seno coloro che avessero voglia di portare avanti un certo progetto “del cambiamento” poiché, fino a prova contraria, i numeri per chiedere la fiducia non li avevano. Sì, perché a differenza di un risultato elettorale la matematica non può essere interpretata, non è un’opinione e prima o poi bisogna farci – appunto – i conti.

Se Luigi Di Maio in quella fase sottolineava che le altre forze politiche avrebbero dovuto accettare le condizioni del Movimento senza riserve, Matteo Salvini teneva un profilo più basso e, pur chiudendo di fatto la porta al Partito Democratico, apriva timidamente a un dialogo con i pentastellati per mettere insieme qualcosa di comune. Un comportamento, quello del leghista, percepito come maturo e che in effetti si addice a un personaggio che fa politica attiva dal 1990 ottenendo la prima poltrona nel lontano 1993 ad appena 20 anni, quando divenne consigliere al Comune di Milano. Altro che nuovo che avanza.

Quasi 30 anni di esperienza che, uniti alla circostanza che la Lega Nord sia il partito attualmente più longevo in Parlamento, non potevano non farsi sentire nei confronti di un Di Maio che non ha ancora compiuto 32 anni e del giovanissimo Movimento 5 Stelle, ben poco avvezzo a certe dinamiche.

Dopo un’iniziale fase di stallo e il miseramente fallito tentativo (se proprio così vogliamo definirlo) di giungere a un accordo dei 5 Stelle con PD, si è aperta la strada a un accordo con il centrodestra, a patto che Berlusconi facesse un passo indietro. Passava il tempo, Salvini si è accorto che gli italiani volevano un Governo ed ha fatto in modo che il buon Silvio lo liberasse dall’obbligo di fedeltà. Un altro punto guadagnato per Matteo, sostenuto dai suoi elettori che hanno apprezzato il gesto del proprio segretario di aspettare il lascia passare di Berlusconi: gli amici non si tradiscono, lo sanno tutti.

La stessa notizia ha fatto però perdere punti a Luigi Di Maio, che ad agosto 2017 diceva “Ma le pare possibile che un meridionale come me possa fare un’alleanza con uno che canta Vesuvio lavali col fuoco?”, ripetendosi a novembre: “Noi non pensiamo ad alleanze con la Lega o altri anche perché dopo quello che ha fatto Salvini in questi giorni – che pur di avere qualche poltrona in più di fatto ha votato la fiducia al Governo del Pd dopo che per anni ci ha detto che questo Governo ha provocato l’invasione, aumentato le tasse – credo non sia affidabile. Sono persone inaffidabili con cui non si può avere a che fare”.

Certo, tutto può cambiare, e la scelta di tentare di formare un Governo Lega – 5 Stelle è stata non solo legittima, ma anche opportuna dati il momento attuale dell’Italia e una legge elettorale inadatta. Chiamatela sfortuna, chiamatela come volete voi, ma i fatti dicono che a causa del “contratto” (non definitela alleanza, per carità) il Movimento ha perso qualche consenso.

Giungiamo infine alla questione Mattarella – Savona e la proposta di impeachment avanzata dai pentastellati, i quali dopo due giorni hanno dovuto desistere. Perché? Ancora una questione di numeri. Matteo Salvini non era d’accordo a mettere in stato d’accusa il Presidente della Repubblica, aggiungendo l’eventuale risultante crisi istituzionale alla grave crisi politica in atto. Senza i suoi uomini, non si può raggiungere la maggioranza assoluta prevista dall’articolo 90 della Costituzione per avviare la procedura di impeachment. Salvini insiste quindi nella propaganda nuda e cruda senza farsi distrarre, confermando i propri consensi e raccogliendone di nuovi. Un’altra scelta azzeccatissima, bravo Matteo.

Adesso è arrivato il momento dei numeri, altrimenti il racconto resta una favoletta: secondo un sondaggio dell’istituto SWG aggiornato al 30 maggio 2018, la Lega si troverebbe al 27,5%, +3% rispetto a una settimana fa. Il 4 marzo aveva preso il 17,4% alla Camera e il 17,6% al Senato, dunque Salvini in due mesi avrebbe guadagnato ben 10 punti.

Il Movimento 5 Stelle, secondo lo stesso sondaggio, si troverebbe al 29,5%, in calo dell’1,6% rispetto a una settimana fa. Il 4 marzo aveva preso il il 32,7% e il 32,2% rispettivamente alla Camera e al Senato.

I 5 Stelle perdono allora circa 3 punti, che non sono pochi e che forse non sono irrecuperabili, ma il dato diventa allarmante se si confronta con la forza attuale della Lega Nord: solo 2 punti percentuali di vantaggio. Se è vero che a causa di un certo margine di errore lo scarto potrebbe essere maggiore, per lo stesso motivo potrebbe anche essere minore.

A luglio o in autunno, una Lega con consensi maggiori avrebbe una forza contrattuale maggiore e la netta posizione di vantaggio del Movimento 5 Stelle andrebbe a farsi benedire, specialmente se il centrodestra si presentasse ancora unito e riuscisse a ottenere la maggioranza in Parlamento senza “aiutini” da altri partiti. Uno scenario possibile, visto che a marzo il centrodestra si è fermato al 37,5% e il 40% potrebbe bastare a governare. A quel punto Lega Nord e Forza Italia riavrebbero l’Italia in mano come ai vecchi tempi, seppur con qualche mutato equilibrio.

Insomma, un po’ per “peccati” commessi in passato, un po’ per lo strano senso dell’umorismo del destino e un po’ per inesperienza, il Movimento 5 Stelle sta facendo la parte dell’agnello con Matteo Salvini, un po’ lupo e molto volpe, che non sta sbagliando neanche una mossa.


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