La lotta del Sud contro l’Italia Nord-centrica tra speranza e autodistruzione

Il Gattopardo


La questione del Risorgimento Italiano chiede ormai, a gran voce, un’opera di seria revisione storica che metta in luce le grandi ombre che gravano su di esso, in modo che la nascita dello Stato Italiano non sia raccontato come lo è adesso, una favoletta secondo cui mille uomini disorganizzati e mal equipaggiati riuscirono a sconfiggere un esercito organizzato di decine di migliaia di uomini, trovando il consenso della quasi totalità della popolazione. La realtà è diversa, parla di appoggi determinanti di potenze straniere, di invasione senza dichiarazione di guerra, di eccidi, paesi rasi al suolo, accordi con i picciotti e la camorra, di una sanguinosa guerra civile, di una politica che ha puntato sempre su un’area determinata del Paese lasciando che l’altra perdesse le sue eccellenze in campo industriale e produttivo, che al momento dell’Unità d’Italia erano complessivamente ben superiori a quelle di tutto il resto della penisola. Prima del 1860 il Regno delle Due Sicilie era la Germania di oggi e non lo dico io, lo dice Il Sole 24 Ore, un quotidiano che certamente non si può definire “neoborbonico”, come è diventato di moda negli ultimi tempi, senza farsi il problema di andare a vedere chi sono i neoborbonici e quanti, non neoborbonici, parlano di argomenti che non hanno spazio nei libri di storia.

Se tra i principali avversari del Sud ci sono la storia manipolata che impedisce il permanere della memoria e dell’identità, le scelte politiche che ancora oggi penalizzano sistematicamente il Mezzogiorno, e la criminalità organizzata, alla quale si è lasciato il controllo del territorio e che lo Stato Italiano non vuole sconfiggere (Se lo Stato italiano volesse davvero sconfiggere la mafia, dovrebbe suicidarsi, scriveva Leonardo Sciascia), dobbiamo pur riconoscere che tra i nemici del Sud ci siamo anche noi, perché incapaci di unirci nella causa comune. Si tratta in ogni caso di un’eredità vecchia in cui si riscontra il successo del divide et impera, per arginare la quale non vi è bisogno d’altro che partire da un punto nuovo, con persone nuove, che non abbiano alle spalle un passato all’interno del sistema che vogliono combattere, o non abbiano ancora le mani legate dal sistema stesso.

Il “risveglio”, certamente, può avvenire anche ad un’età in cui non si è più giovanissimi, e senza dubbio l’esperienza di chi ha vissuto la vita, di chi sa come funzionano le cose, è essenziale affinché queste possano cambiare, per non restare invischiati nel Gattopardo, dove si cambia tutto per non cambiare niente. Gli uomini e le donne di esperienza, dunque, non devono farsi da parte, ma essere in primissima linea, esporsi, supportando e formando chi non è un ex di nessuno. In caso contrario, ed è la situazione attuale, nascono scaramucce, scontenti, litigi che prendono il posto di un fronte comune che non c’è, che non può impedire, per esempio, che il 98% degli investimenti ferroviari sia destinato da Firenze in su, o che perfino la Lega Nord venga a prendersi i voti al Sud. La strada che stiamo percorrendo oggi è quella dell’autodistruzione.

Foto: ilpatrimonioculturaledelmeridione


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