La Pasticceria Carraturo fa 180 anni: è il tempio della Sfogliatella Frolla

In foto: Ulderico Carraturo


Quando a un napoletano viene detta la parola sfogliatella si attivano, nella sua mente, una serie di processi che per alcuni attimi lo conducono a un’esperienza quasi extracorporale: i ricordi si mescolano al soave suono della pasta sfoglia che scricchiola, la salivazione aumenta, sembra di sentire il profumo di agrumi, zucchero e ricotta e perfino i loro sapori che si mescolano in un gusto che si può trovare soltanto in una minuscola parte della Terra: Napoli.

La Pasticceria Carraturo a Porta Capuana: il tempio della sfogliatella frolla

A Napoli, tuttavia, non tutte le sfogliatelle sono uguali e solo poche riescono a raggiungere il grado dell’eccellenza. Si contano, infatti, sulle dita di una sola mano le pasticcerie in grado di offrire LA sfogliatella, quella che una volta assaporata diventa il metro di giudizio di tutte le sue simili.

La Pasticceria Carraturo a Porta Capuana è uno di questi magici luoghi, nata nel 1837 rappresenta da ben 180 anni un simbolo e un pilastro su cui si fonda il mito della Cucina Napoletana. È Ulderico Carraturo, discendente diretto di Pietro, fondatore dell’azienda, a parlarci di quasi due secoli di storia: ci ha ospitati nel suo laboratorio, il punto esatto dove prendono corpo e si materializzano quelle sensazioni di cui parlavamo all’inizio.

Come è nata la Pasticceria Carraturo?

La Pasticceria Carraturo nasce a Porta Capuana nel 1837 da un mio avo che si chiama Pietro Carraturo. Era un contadino originario di Casamarciano, dunque nel nolano, dove faceva il contadino intento a guardare i tacchini. La leggenda narra che sia passato davanti al suo pezzo di terra un carro che trasportava della legna, diretto a una pasticceria di Napoli. Il carro andò a finire con una ruota in un fosso e si ribaltò, Pietro aiutò il carrettiere e questi, come ricompensa, gli diede la possibilità di recarsi una volta a settimana con lui a Napoli dove avrebbe imparato il mestiere di pasticciere in un forno.

Così è stato e nel 1837 ha aperto la pasticceria che, originariamente, si trovava sotto l’arco di Porta Capuana ed è stata lì fino al 1904. Quell’anno furono abbattuti i palazzi che si trovavano a destra e a sinistra dell’arco: nei palazzi sulla sinistra, come si vede in una foto su legno di Alinari del 1890 circa, che conservo giù, si vedono tre botteghe che erano un macellaio, un pescivendolo e un pasticciere che eravamo noi.

Guglielmo e Guido Carraturo

Quando furono abbattuti gli edifici ci trasferimmo nella sede attuale: era il 1904, ma la nostra tradizione parte dal 1837 e quest’anno compiamo 180 anni. A Pietro Carraturo successe Vincenzo Carraturo, poi Alfredo Carraturo, Guido Carraturo e oggi ci siamo io e mio fratello, Ulderico e Alessandro Carraturo, a gestire la pasticceria.

Siamo solo ed esclusivamente una pasticceria tradizionale napoletana, facciamo tutto artigianalmente con materie prime fresche, e tutto quello che rappresenta la tradizione: sfogliatelle, pastiere, babà, zuppette e così via. Non facciamo assolutamente cake design e tutto quello che è alla moda, che ha un inizio e una fine – se la sfogliatella ha 200 anni un motivo ci sarà!

A cosa è dovuto l’enorme successo della Pasticceria Carraturo?

Mentre un oste napoletano, Pintauro, portò la sfogliatella qui a Napoli da Conca dei Marini, trasformandola in una versione più povera senza la crema e le amarene, per il popolino, sembra invece che Pietro Carraturo sia stato il primo, o tra i primi, a fare la versione frolla per le persone senza denti. All’epoca non esistevano le dentiere e una persona aveva difficoltà a mangiare la riccia con le gengive, così fu fatta la frolla.

La sfogliatella frolla di Carraturo

Da lì c’è stato il successo della Pasticceria Carraturo che era il punto di riferimento in particolare per le “cafoniere”, ossia per le persone di provincia che venivano a Porta Capuana, un punto di scalo per coloro che dovevano acquistare ferramenta, abbigliamento o tutto ciò che potevano trovare soltanto a Napoli. Prima di tornare a casa o quando arrivano compravano un pacchetto di sfogliatelle o ne mangiavano una, che all’epoca si accompagnava spesso con del Vermouth bianco e non col caffè come avviene adesso.

Volantino del 1908

Sono numerose le aziende storiche napoletane, ma quella di Carraturo dal 1837, a differenza di altre, appartiene alla stessa famiglia che la fondò.

Siamo a Napoli la più antica famiglia di pasticcieri poiché, anche se esistono marchi più vecchi del nostro, che io sappia non appartengono più alle famiglie storiche. La nostra azienda invece è stata trasmessa da padre in figlio dal 1837 a oggi, è sempre stata a Porta Capuana e quella dove ci troviamo è l’unica sede dell’Antica Pasticceria Carraturo dal 1837. Esistono altri Carraturo, ma si tratta di parenti che hanno dato vita ad attività diverse dalla nostra.

Poco tempo fa la Regione Campania ha istituito l’Albo delle Aziende Centenarie e di quelle Ultracentenarie. Noi facciamo parte del secondo.

In 180 anni ne avrete viste tante. Ci racconta un aneddoto?

In un libro, “Il cratere incandescente” di Corrado Maria Errichelli, si fa riferimento ad un dolce del quale non sappiamo, in realtà, se fu una una leggenda o altro. L’autore scrive che da Carraturo si potevano trovare dei dolci particolari che si chiamavano “Cazzi ‘e Zì Macchione”, ma non conosciamo a quale si faccia riferimento, anche perché con la morte dei nostri avi molta memoria storica è andata perduta.

Non avete qualche dolce che magari lo può ricordare?

Probabilmente, poiché all’epoca – siamo agli inizi del ‘900 – si faceva molto il cannolo a sfoglia ripieno di crema, può darsi che sia questo qui. Era un dolce molto semplice, come il pasticciotto a crema e amarena, a quei tempi i dolci erano molto più semplici di quelli oggi. L’uovo era una cosa molto ricercata perché non era per tutti quanti, così come la ricotta, quindi i dolci con questi ingredienti non erano molto gettonati perché erano più raffinati. Può darsi allora che si tratti di questo cannolo, ma non abbiamo documenti, non è una realtà storica. Mio padre inoltre se n’è andato che avevo 3 anni, ciò che so mi è stato raccontato da terzi, perciò è inevitabile che alcuni racconti siano andati perduti.

Il fatto di essere a Porta Capuana, ovvero al Centro Storico ma in una zona periferica se parliamo di flussi turistici o vita mondana, come influisce sull’azienda?

Anche se è una zona più lontana dal centro antico è comunque la porta d’accesso al centro antico. La Pasticceria Carraturo è molto attiva sul quartiere e fa di un coordinamento che si chiama “I love Porta Capuana”, il quale lavora con la Facoltà di Psicologia della Federico II e con l’Accademia di Belle Arti per portare avanti diversi progetti per migliorare la zona.

Stiamo lavorando, in particolare, per far diventare Porta Capuana un hub turistico della città di Napoli, ossia fare in modo che il turista arrivi qui per avere un accesso preferenziale al centro antico, un po’ come avveniva una volta, sia per dare una mano al quartiere sia per decongestionare la città antica: gli autobus si fermerebbero qui, in un’area apposita, mentre i turisti sarebbero accompagnati a piedi per il centro antico dalle loro guide.

Oggi il commerciante non è più come quello di una volta, che vendeva e basta, ma sembra avere anche delle funzioni sociali perché si impegna sempre più spesso sul territorio e non solo. Come si sta evolvendo questa professione?

Questo è il frutto di una cultura associativa dove ci si rende conto che il gelatiere – per fare un esempio – non è più il bottegaio, che apre la mattina e la sera chiude scocciato, ma è un gelatiere che si confronta con gli altri gelatieri e bottegai per affrontare delle problematiche e sfruttare delle opportunità tutti insieme.

Saranno tantissimi i personaggi celebri, del passato e del presente, passati di qui.

A differenza di tanti esercenti a me non piace dire “Da me sono venuti Tizio e Caio”, è anche un modo di essere più riservati, di non “spararsi la posa”. Tantissimi comunque sono passati, non ultimo ho incrociato Tullio De Piscopo che abitava proprio a Piazza Nazionale, il quale mi ha detto di essere nato e cresciuto con le nostre sfogliatelle perché la madre aveva la fissazione di venirle a comprare la domenica, dopo essere stata al cimitero, e non era contenta se non lo faceva.


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