Il suonatore di pianino: sapete chi era e cosa faceva?


Lo si sentiva girare per le strade di Napoli trainato da un cavallo, o spinto dallo stesso suonatore. Era uno dei tanti elementi che caratterizzava il folklore di Napoli, e la gente lo amava, tanto da affollarsi nei suoi pressi, acquistare le “copielle” e intonare insieme i canti. Parliamo del pianino, e del suo suonatore, che aveva il compito e il piacere di portare la musica in giro per la città.

Il pianino fu inventato nel 1700 da un modenese, Giovanni Barberi. Il cilindro del pianino, o organetto, funzionava  più o meno come il cilindro di un carillon: quando ruotava su se stesso le sue punte rialzate causavano la vibrazione di piccole leve e il movimento delle corde ad esse collegate producendo varie melodie. Il pianino fu molto utilizzato  in Italia, in Francia, in Belgio e in Olanda, ma il suo maggior successo lo ebbe a Napoli.

Il suonatore, infatti, non era considerato un questuante, anzi godeva della stima di tanti, compresi autori ed editori, che ne apprezzavano il ruolo divulgativo.

Col tempo, purtroppo, la sua azione andò scemando, lasciando sempre più posto a café-chantant, al cinema, al disco, alla radio e alla televisione.

Il declino, nello specifico, cominciò quando, nel maggio 1938, il famoso suonatore del rione Ponti Rossi, Carluccio ‘o Calamaio, inserì nel pianino una canzone dedicata a Garibaldi proprio quando Hitler era in visita in città.

Durante la seconda guerra mondiale, un incendio distrusse il deposito in Via Foria, che custodiva più di cento pianini.

Poco dopo, Raffaele Esposito Sansone, un commerciante napoletano, venne a sapere che alla periferia di Pavia un certo Fabio Bonino, svendeva 110 pianini a milleseicento lire ciascuno. Il commerciante affittò un camion e partì. Dopo più di una settimana tornò con i 110 pianini che poi riuscì a vendere a undicimila lire ciascuno.

L’ultimo suonatore di pianino a Napoli fu Ciro Pantolese, che smise all’età di 82 anni, per forza di cose, perché a Napoli non c’erano più fabbricanti di rulli, tranne Pasquale Barbuto, che però con i pochi suonatori rimasti non riusciva a sostentare la sua famiglia.

Così, quando si trasferì a Milano nel 1959, si spense definitivamente la tradizione dei pianini.

Fonte: Napolitan.it


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