Il calendario gregoriano e il mistero dei dieci giorni cancellati dalla Storia


Il tempo, si sa, non esiste. È una convenzione inventata dall’uomo per poter misurare il trascorrere degli eventi. Determinare la fine di un secondo, un minuto, un giorno, fino ad arrivare a un intero anno, ci fa sentire più sereni, ci dà l’impressione di poter avere un potere sulla vita che sicuramente si svolge in un arco di tempo ben definito e destinato a non durare per l’eternità. L’idea di poter inquadrare le nostre azioni in un periodo temporale determinato, è stata da sempre un’ossessione di tutta l’umanità. Uno dei primi calendari adottati fu quello degli antichi egizi e considerava gli eventi legati alle inondazioni del Nilo. Inoltre a scandire il trascorrere del tempo vi era un evento ben definito: il sorgere della stella Sirio che si osservava, alla latitudine di Menfi, al crepuscolo del mattino del 19 luglio. Successivo fu il calendario dell’antica Grecia, diviso già in dodici mesi di ventinove o trenta giorni, che costituiva un anno di 354 giorni. Ma le città elleniche non seguivano tutte uno stesso almanacco, quindi ogni polis celebrava un diverso “primo dell’anno”. Poi arrivarono i romani che adottarono un calendario promulgato, nel 46 d. C., da Giulio Cesare e quindi chiamato giuliano. Si decise che a ogni tre anni, in cui i giorni erano 365, seguiva un anno di 366. Ulteriori modifiche, che però avevano solo l’obiettivo di celebrare ulteriormente la figura dell’imperatore, furono apportate da Ottaviano Augusto. Il mese Sextilis fu così chiamato “agosto” in suo onore e si decise di farlo durare trentuno giorni invece di trenta per non farlo sfigurare rispetto a luglio, prolungato invece in onore di Giulio Cesare. In base all’anno giuliano, però, ogni 128 anni si accumulava un ritardo di un giorno provocando uno sfasamento tra anno civile e anno solare.

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Si arrivò quindi nel 1582 ad avere un surplus di circa dieci giorni. Questa differenza portò alcune discrepanze nei festeggiamenti legati alle stagioni, ad esempio si arrivò a celebrare l’equinozio di primavera all’inizio di marzo nonostante il clima non lo permettesse ancora. Fu per questa ragione che papa Gregorio XIII decise di riformare, in quello stesso anno, il calendario giuliano dando vita al calendario gregoriano, ancora oggi in uso. Con la bolla papale Inter Gravissimas promulgata a Villa Mondragone, presso Monte Porzio Catone, si iniziarono a contare gli anni dalla nascita di Cristo e, su proposta dell’astronomo e matematico tedesco Cristoforo Clavio, si decise di sopprimere, solo per quell’anno, i giorni che andavano dal 5 al 14 ottobre. Il nuovo calendario fu immediatamente adottato in Italia, Spagna e Portogallo; dopo due mesi, fu impiegato anche in Francia e in Olanda dove si eliminarono rispettivamente i giorni che andavano dal 10 al 19 dicembre e dal 22 al 31 dicembre. Nel 1584 fu utilizzato anche in Germania e Svizzera e così via.

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Questo calendario non è però ancora adottato in tutti i paesi, inoltre, oggi, in alcuni luoghi, come Serbia, Macedonia, Russia, Georgia e Gerusalemme, la Chiesa Ortodossa celebra ancora le sue festività secondo il calendario giuliano. Nonostante l’introduzione del calendario gregoriano, l’anno civile porta ancora una lieve eccedenza di ventiquattro secondi sull’anno tropico, ma questa differenza porterà ad avere un giorno in più dopo circa tremilacinquecento anni.

Fonti: Adriano Cappelli, “Cronologia, cronografia e calendario perpetuo”, Milano, Hoepli, 1998

Herbert von Klöckler, “Corso di astrologia“, Roma, Edizioni Mediterranee, 1998

Pietro Zocconali, “Le religioni e la misura del tempo”  “in “Non credo”, Roma, luglio/agosto 2010

Jacopo Santoro, “Dieci giorni mai esistiti” in “InStoria”, Roma, agosto 2013


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