20 mila euro per il nuovo Logo del Museo Madre. Fioccano le polemiche


Continua a suscitare malcontenti e polemiche la questione del nuovo Logo del Museo di Arte Contemporanea Madre. La notizia sta facendo il giro del web e c’è già chi grida allo scandalo. Una spesa di 20 mila euro ritenuta incredibile ed ingiustificata. Il sito Campaniasulweb.it ha chiesto il parere di Bruno Ballardini!

«Il nuovo marchio del Madre? Il nulla assoluto, non andava nemmeno pagato»
Bruno Ballardini, uno dei più famosi pubblicitari italiani, docente alla Ilas di Napoli, scambia con noi qualche impressione sul restyling del museo di arte contemporanea: «Mi incazzo perché si continuano a disperdere risorse verso Milano quando Napoli sarebbe matura e avrebbe un potenziale creativo enorme»

Nuovo marchio per il Madre. Il museo di arte contemporanea di Napoli, dopo il passaggio dalla gestione Cicelyn a quella di Andrea Villani, si rifà il look, e non solo per quanto concerne il logo: anche inviti, brochure, pubblicità sul web e a stampa. Un’operazione che ha creato polemiche, non tanto per il costo affrontato, quanto per l’ormai consueta politica che porta a snobbare talenti e professionisti nostrani. Ancora una volta, infatti, un cliente ben conosciuto a livello internazionale preferisce affidare il rinnovo dell’identità a uno studio non napoletano né campano. Nel caso in questione, il museo di via Settembrini si è affidato allo studio Leftloft di Milano. Eppure, non è banale ricordarlo, Napoli è una città dove le potenzialità nel settore non mancano: «Ho insegnato dappertutto – ci dice Bruno Ballardini, pubblicitario, esperto di comunicazione strategica, scrittore e docente alla scuola di comunicazione Ilas di Napoli – ma qui ho trovato energia, talento e voglia di fare che in altre città più economicamente favorite non ci sono».

Professor Ballardini, 20mila euro per il nuovo logo del museo Madre. La qualità del lavoro fatto giustifica questa cifra?

Innanzitutto occorre premettere che in questo settore tutto è molto relativo. Non si può facilmente valutare se un prezzo è congruo se non si tiene conto di vari parametri: tempo a disposizione e tempo realmente occorrente per la ricerca iconografica di anteriorità, tempi di consegna, costo della struttura e costo uomo per l’elaborazione delle proposte. Il direttore del Museo sostiene di aver risparmiato e dichiara: «l’intera partita della grafica la chiudiamo con una spesa da 20mila euro, contro i 110mila del passato». Da questo punto di vista è sicuramente un bel risparmio e però nessuno ha stabilito mai che gli studi di grafica vadano pagati 110 mila Euro per una identità. I prezzi li decidono sempre loro ma cosa c’è veramente dietro? Non è la prima volta che capita una polemica del genere e probabilmente non sarà l’ultima fino a quando non si deciderà di adottare tutti dei criteri più trasparenti e cioè gara pubblica a cui far partecipare più strutture e non le solite due o tre, e commissione esterna assolutamente indipendente, con al massimo un membro interno che appartenga all’istituzione.

Il direttore del museo, Andrea Villani, parla di “minimalismo” e “carnalità”, dovute al colore giallo dello sfondo. Da professionista e addetto ai lavori: crede che l’intento sia stato raggiunto?

Ma qui non si tratta nemmeno di “minimalismo”. Il minimalismo è quello del direttore del museo nel suo tentativo di minimizzare. Qui è scorretto parlare di “solo marchio” da parte dei giornalisti pur di alzare la polemica perché è stato fatto anche dell’altro lavoro, la segnaletica, l’impostazione delle brochure… Ma se vogliamo parlare soltanto del restyling del marchio sul piano estetico si può tranquillamente dire che è l’ennesima corazzata Potëmkin nel mare delle brand identity istituzionali italiane. Anzi, non è nemmeno quello, è il nulla assoluto. Il livello zero della scrittura. Una cosa come questa non andava nemmeno pagata, gliela dovevano fare gratis.

Ancora una volta studenti e professionisti di Napoli vengono tagliati fuori, i clienti più in vista preferiscono affidarsi a realtà esterne. Eppure le scuole di spessore qui non mancano, come testimonia anche il suo lavoro di docente all’Ilas di Napoli. Come si spiega questa scelta?

Amo molto Napoli. Io ho insegnato dappertutto ma solo qui ho trovato un’energia, un talento e una voglia di emergere formidabili che nelle città più grandi ed economicamente più favorite non c’è. Non è un caso che molti ragazzi dell’Ilas arrivino spesso primi nei contest nazionali sopra gli allievi delle accademie milanesi. E non è un caso che sempre da questo centro di eccellenza siano partite nuove promesse della creatività a livello internazionale come Antonio De Rosa che ha avuto un’idea geniale subito trasformata in start-up: ha trasformato quella che era originariamente una App per iPhone in un oggetto di culto che verrà prodotto nientepopodimeno che da Polaroid su scala mondiale. E qui, tornando al Museo e alla sua direzione, mi incazzo perché si continuano a disperdere risorse verso Milano quando Napoli sarebbe matura e avrebbe un potenziale creativo enorme. Enorme. Oltretutto si continua a sottrarre lavoro ai professionisti napoletani. E su questo, mi dispiace, la politica del Museo è giusto che venga contestata.


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI