Pompei, chi era il fuggiasco “zoppo” ucciso dalla furia del Vesuvio


Cercava di fuggire dalla furia del Vesuvio, ma il suo passo non era più quello sicuro e svelto della sua giovinezza, sì perché avere trent’anni all’epoca significava essere già vecchi.

Un masso lo ha colpito al torace e alla testa e ora questa sua sciagura si mostra dopo duemila anni ai nostri occhi, vicino a noi e guardandolo ci viene quasi da chiedere il perché di tanto dolore. Ma il suo silenzio e l’immagine di questa sofferenza è l’unica cosa che riusciamo a vedere: un uomo che ha cercato invano di scappare dall’apocalisse del 79 d.C.

Il cortile da cui si accedeva all’appartamento, per cumulo di cenere e lapilli, aveva tanto accresciuto il suo livello che mio zio, se avesse ancora indugiato nella stanza, non sarebbe potuto uscirne più” così scriveva Plinio il Giovane a Tacito nella sua prima lettera sull’eruzione del Vesuvio. Questo è dovuto accadere più o meno nella Regio V, dove è stato ritrovato l’ultimo fuggiasco di Pompei.

L’uomo aveva circa 30 anni e soffriva di un’infezione ossea, forse una periostite o una osteomielite. Questa sua menomazione gli rese difficile la fuga, infatti si doveva muovere con difficoltà all’incrocio tra il vicolo delle Nozze d’Argento e il vicolo dei Balconi scoperto appena qualche settimana fa. Secondo le prime ricostruzioni dei ricercatori il fuggiasco avrebbe tentato di scappare da una finestra del primo piano, ma senza andare molto lontano. Fu travolto e ucciso forse dallo shock termico prima del crollo dei piani alti degli edifici, dove il masso di pietra, forse uno stipite di una porta da 300 chili gli ha tagliato la testa e schiacciato il torace.

Perché è stato ribattezzato “ultimo fuggiasco” dal direttore Osanna?

Ci troviamo di fronte ad uno degli ultimi pompeiani che aveva scelto di non abbandonare subito la città con i primi segnali dell’eruzione. Fu travolto dall’onda finale dell’eruzione, infatti nel banco di cenere consolidata ci sono tracce di rami, di ferro, detriti e blocchi stradali. Una testimonianza tragica e drammatica di quello che accadde quasi duemila anni fa alle falde del Vesuvio, uno dei tanti pompeiani sorpresi dalla morte in quell’agosto del 79 d.C., quando il flusso piroclastico aveva iniziato a spaventarlo davvero, lui che come tanti non voleva abbandonare quella splendida città, è morto rivolgendo forse l’ultimo sguardo alla furia del “suo” vulcano.

Pierre-Henri de Valenciennes, “La morte di Plinio il Vecchio” (1813), particolare


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