I meridionali sono stupidi: le teorie razziste sono ritornate

Il cranio del brigante Giuseppe Villella


Il tempo passa, ma i problemi delle società sembrano rimanere sempre gli stessi. L’istruzione aumenta ma il sapere e la conoscenza sembrano non evolversi con essa. È sconcertante apprendere che, nel 2015, esistano ancora teorie e dibattiti sulla razza e sulla presunta influenza genetica dei luoghi capace di rendere gli individui migliori o peggiori rispetto ad altri. Le teorie di Lombroso, ritenute ad oggi di scarso valore scientifico, sembravano del tutto insensate e fuori luogo già alla fine del 1800 , ma vederle promosse e sostenute oggi fa addirittura una certa paura (oltre che un po’ di ribrezzo).

Eppure così come spiegato in un articolo di Filippo Veltri pubblicato su ilquotidiano.web, esiste tutt’oggi una branca dell’altropologia, (capitanata da Richard Lynn, professore emerito all’Università dell’Ulster, Regno Unito) che tenta di spiegare le differenze economiche e sociali tra Nord e Sud attraverso il concetto di “razza”. Il pensiero di Lynn così come dei nuovi “lombrosiani” trova massima espressione nella pubblicazione del docente britannico di uno studio intitolato: “In Italia, le differenze nord-sud nel quoziente intellettivo spiegano le differenze nei redditi, nell’istruzione, nella mortalità infantile, nella statura e nell’alfabetizzazione”, studio che però si stanno occupando di confutare due docenti dell’Università Magna Graecia di Catanzaro: Vittorio Daniele e Paolo Malanima.

Così come spiegato dallo stesso Vittorio Daniele : “L’articolo ha avviato un dibattito, con articoli di critica e altri di supporto alla tesi di Lynn. Un recentissimo lavoro, di Davide Piffer e di Richard Lynn, pubblicato sulla stessa rivista, sostiene che tra gli italiani del Nord e del Sud esistono differenze nel quoziente d’intelligenza (QI) di circa 9 punti. Secondo questi studiosi, le differenze nell’intelligenza sarebbero, in larga parte, genetiche. Dunque, per ragioni innate, i meridionali sarebbero, mediamente, meno intelligenti dei settentrionali.

Pare che tali differenze poggino su disuguaglianze regionali in grado di influenzare lo sviluppo delle abilità cognitive. Secondo Lynn, a determinare la presunta inferiorità intellettiva dei meridionali, la mescolanza genetica avvenuta nel corso della storia in tutto il Mezzogiorno. Una sorta di “contaminazione disgraziata” tra le popolazioni meridionali e quelle provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa che ha finito con l’indebolire intellettualmente la gente del sud. A supporto di tali teorie i risultati dei test QI raccolti in tutto il mondo i quali mostrerebbero sostanziali differenze riscontrate tra la popolazione dei vari continenti.

Vittorio Daniele aggiunge: «L’idea che il ritardo economico e sociale del Mezzogiorno derivi non da scelte politiche, da fattori storici, economici o geografici, ma da caratteristiche antropologiche o biologiche dei meridionali stessi è un’idea antica, riproposta più volte, a partire dall’Ottocento, e sostenuta apertamente fino agli anni Cinquanta, per esempio da studiosi come Friedrich Voechting nel suo libro “La questione meridionale”. È un’idea ancora diffusa, più di quanto si possa pensare, che, in maniera più o meno consapevole, permea il pensiero di molti”.

Adesso, a parte il fatto che la misurazione di qualcosa di non materiale è parecchio difficile, se non impossibile, bisogna riflettere sulla struttura e sui quesiti dei test per la misurazione del quoziente intellettivo, i quali non possono che essere svolti meglio da coloro che hanno un’istruzione migliore raggiungano un punteggio più alto. Una persona che ha gravi carenze di istruzione non può non trovarsi in difficoltà con qualcosa con cui non ha familiarità, cioè un test, seppure questo sia “adattato” alla sua persona in modo che il grado di istruzione influisca il meno possibile sul risultato finale, test cui invece è perfettamente abituato e sa affrontare bene chi nella propria vita ne ha svolti parecchi. Non a caso tra gli ebrei ashkenaziti, che hanno quasi tutti livelli molto alti di istruzione, presentano i più alti punteggi nei test Q.I.

Nella realtà, tuttavia, i test per il Q.I. sono molto standardizzati e non tengono in adeguato conto né le disuguaglianze sociali, né i vari tipi di intelligenza, poiché ognuno è portato ad essere migliore in un campo rispetto ad un altro; essi, in pratica, sono come dei vestiti realizzati per un certo tipo di persone e non possono che andare male a chi ha un corpo diverso. Rammentiamo, inoltre, che queste prove sono scritte in una lingua, l’Italiano, che non è familiare ad alcune persone quanto lo è l’idioma della propria comunità, per esempio il Napoletano per un campano o il Siciliano per un siciliano, in modo tale che il soggetto di cui si misura l’intelligenza dovrà prima tradurre quanto è scritto, e non lo farà nel modo giusto visto lo scarso grado di istruzione, il quale, ripetiamo, è determinato in via principale dalle povere condizioni economiche e sociali. È altresì opportuno menzionare i danni che la misurazione del Q.I. ha causato su certi bambini, erroneamente risultati dei geni o degli stupidi, e poi saremmo curiosi di sapere che risultato avrebbe conseguito Einstein da giovane, con le sue gravi insufficienze nelle materie letterarie e le difficoltà nell’esprimersi, tanto che riuscì a parlare bene soltanto a nove anni: che cosa vuol dire ciò, che a otto anni era stupido? No, certamente, e sappiamo tutti che uomo poi è stato Einstein.

Infine, tornando a Cesare Lombroso, il più famoso dei teorici razzisti secondo cui la gente del Sud era naturalmente portata a delinquere ed essere più stupida, è curioso sapere che egli attribuiva alla presenza della fossetta occipitale mediana, un’anomalia della struttura ossea del cranio, i comportamenti criminali: ebbene, quando fu fatta l’autopsia sul corpo di Lombroso, si scoprì che egli stesso l’aveva. Fu proprio il suo corpo, dunque, a smentire le sue teorie razziste ed ignobili.


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