I pescatori torresi rapiti dai pirati e liberati dal Santo

Coralline, Torre del Greco, anni '20


Nel 1780 la pesca del corallo dei torresi si estendeva per tutto il Mediterraneo. Le famigerate coralline che partivano da Torre del Greco viaggiavano dalla Sardegna a Tunisi, spesso occupando isolotti abbandonati e usandoli come basi d’appoggio. Un documento ufficiale di quell’anno raccontava: “l’antica pesca dei coralli impegnava trecento e più barche l’anno con un equipaggio di otto o nove persone l’una”. E’ evidente come una simile attività coinvolgesse quasi tutte le famiglie della città.

Tuttavia, in quegli anni, una minaccia minava la pesca dei torresi. Le guerre napoleoniche gettarono le potenze che controllavano il mediterraneo nel caos dell’anarchia e, lungo le coste, iniziarono ad agire indisturbati corsari e pirati che saccheggiavano qualunque imbarcazione appropriandosi di carico ed equipaggio. Ovviamente le coralline erano un enorme bottino al tempo.

Pescatori di corallo

Pescatori di corallo

Fu così che numerosi pescatori torresi furono presi dai pirati e condotti come schiavi a Tunisi in situazioni degradanti e completamente abbandonati dalle potenze europee, troppo prese a combattere per il potere. A testimoniare la vicenda è un prezioso libretto, scritto nel 1804, che raccoglie le memorie di Giosuè Loffredo, padrone di molte coralline. Il figlio di Giosuè, Pietro, partì con le sue barche insieme ai tre figli, ma la famiglia fu catturata a largo della Sardegna da pirati tunisini. Il Loffredo dichiara che, per quanto soffrisse per la condizione di figlio e nipoti, non riuscì a raccogliere il denaro sufficiente per riscattarli.

I fatti narrati trovano riscontro in un gruppo di documenti dell’Archivio di Stato di Napoli, dai quali risulta che nel 1806, duecentotrenta pescatori di corallo torresi, si trovavano in catene ad Algeri. La condizione di quegli sventurati viene accuratamente descritta dal marsigliese Paolo Bartolomeo Martin, anche lui preso insieme ai pescatori, in una supplica rivolta al re, al tempo Giuseppe Bonaparte, per la loro liberazione: “Nudi, spesso privati di cibo, con i ferri ai piedi, soggetti a lavori insopportabili, ai quali siamo addetti notte e giorno senza un’ora di riposo, privi di ogni aiuto, le nostre pene sono accresciute dai grossolani scherni dei marinai francesi che sono aiutati dal loro console”.

Beato Vincenzo Romano fra i pescatori, raffigurazione votiva

Beato Vincenzo Romano fra i pescatori, raffigurazione votiva

Le parole di Martin furono vane dal momento che Bonaparte non fece nulla per risolvere la situazione. Così, il 23 Maggio 1812, partì una supplica da Torre del Greco firmata dal Sindaco e dall’allora parroco Vincenzo Romano, rivolta a Gioacchino Murat, che intanto aveva preso possesso del Regno di Napoli. Anche questa accorata richiesta, però, non suscitò le reazioni desiderate. A prendere a cuore la situazione dei pescatori fu Ferdinando IV di Borbone, ritornato al trono il 17 Giugno 1815, dopo la cacciata di Murat. Questo è quanto il Beato Vincenzo Romano scrisse al Re, di suo pugno: “Siffatte disgrazie, o Sire, hanno desolate ed immiserite centinaia di famiglie, le quali piangono chi il marito, chi il padre, chi i figli che prima formavano il sostegno delle medesime, ed ora quegl’infelici stanno a gemere sotto il duro giogo di quella barbara schiavitù, e le loro sventurate famiglie languiscono qua nella desolazione e nelle miserie.” Commosso Ferdinando, durante il Congresso di Vienna per la sistemazione politica e territoriale dell’Europa al crollo dell’impero napoleonico, riuscì a ottenere definitivamente l’abolizione della schiavitù dei cristiani e i nostri pescatori poterono tornare, da uomini liberi, alle loro famiglie.


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