Giovan Battista Marino: il poeta napoletano che rivoluzionò la letteratura


Giovan Battista Marino nacque a Napoli il 14 ottobre del 1569. Il padre, Giovan Francesco Marino era un giureconsulto, ma aveva sempre dimostrato un grande amore per poesia e teatro: era solito intrattenere a casa sua l’alta nobiltà napoletana recitando egli stesso piccoli componimenti. Ciò nonostante, indirizzò il figlio agli studi di legge e, quando dopo tre anni quest’ultimo decise di abbandonarli in favore della poesia, non esitò a cacciarlo di casa.

Per molti anni fu costretto a chiedere ospitalità ad amici nobili e, spesso, a chiedere denaro in prestito per sostentarsi. In questo periodo entrò, con lo pseudonimo di Accorto, nell’Accademia degli Svegliati: un circolo letterario napoletano che poteva annoverare fra i suoi adepti anche Torquato Tasso. Col nome di Accorto furono firmati due brevi sonetti scritti in occasione del cruento omicidio di Maria D’Avalos insieme al suo amante.

Per qualche anno Marino collaborò proprio con tasso Tasso: con ogni probabilità con questa sinergia è stato pubblicato nel 1595 il dialogo “Il Manso, overo Dell’amicizia” . Entrambi i poeti, inoltre, composero versi per la morte di Cordelia de la Noy duchessa di Castel di Sangro, protettrice degli Svegliati ; e uno scambio di sonetti è attestato da “Rime. Parte prima”. Nel 1594, invece, mentre era a Nola con Pignatelli si dedicò a comporre numerose opere ispirate alla poesia classica di Virgilio.

Nella seconda metà del 1596 divenne segretario personale di Matteo Di Capua. Non solo le sue finanze si assestarono, ma grazie alla ricca biblioteca e all’imponente quadreria del principe ebbe modo di coltivare quel gusto per l’arte figurativa che sarà la passione predominante di tutta la sua vita, in ricercata e spesso felice sintonia con la passione poetica. È di questi anni una cinquantina di componimenti (poi nelle prime due parti delle Rime) su pitture e sculture. Nacque in questo momento anche l’embrione di ciò che sarà l’Adone.

Nel 1598 la fortuna del Marino cessò di nuovo quando venne incarcerato. Non è chiaro il motivo, ma probabilmente si trattò di un’accusa di sodomia, visto che pochi anni dopo scrisse “Invettiva contra il vitio nefando” per levarsi da dosso ogni accusa. Quel che è certo è che venne scarcerato grazie all’intervento dei suoi amici e dello stesso Di Capua. Nell’agosto del 1600 tornò in carcere per falsificazione di atti a favore del giovane nobile Marcantonio D’Alessandro, accusato di omicidio e poi giustiziato in quello stesso anno. Anche in questo caso venne scarcerato per l’intercessione dei nobili, ma fuggì a Roma per evitare altri problemi.

Qui partecipò alle riunioni della futura Accademia degli Umoristi, che si andava raccogliendo in casa di Paolo Mancini. Nel 1602 si trasferì a Venezia dove ultimò e pubblicò le “Rime”, probabilmente la sua opera più corposa ed autobiografica. Il successo della sua ultima fatica fu immediato ed al suo ritorno a Roma fu chiamato al servizio del potentissimo cardinal nipote Pietro Aldobrandini. Grazie a questa nuova posizione riuscì ad entrare in contatto col fiorente mondo dell’arte di ogni tipo.

Altro successo arrivò nel 1607 con l’idillio “L’Europa”: in particolare questo componimento gli valse il primato nell’aver riportato in vita questo tipo di sonetto, ripreso e portato all’apice anni dopo da Leopardi. Nel 1608 venne pubblicato a Torino il  Ritratto del serenissimo don Carlo Emanuello duca di Savoia, un panegirico che valse al poeta, l’11 gennaio 1609, la nomina a cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e, nel 1610, la nomina come segretario del duca.

Seguì un periodo di successi, soprattutto nei confronti di poeti rivali. Fu solo trasferendosi a Parigi che riuscì finalmente a completare la sua opera principale, alla quale lavorava da tutta una vita. L’“Adone” venne ultimato il 24 aprile del 1622 in tutti i suoi 20 canti. Si tratta di una favola mitologica basata sull’amore, sull’arte e sul culto del bello: un’epica senza guerra, rivoluzionaria per il tempo e per l’intera poesia classica.

Lo stesso anno della pubblicazione dell’Adone tornò in Italia e, nel 1624, si trasferì nella sua Napoli. Qui però si ammalò gravemente e diede anche numerosi segni di instabilità mentale: convinto che sei servitori rubassero i suoi manoscritti ordinò di dare alla fiamme tante sue opere inedite. Per altri storici i manoscritti bruciarono in seguito all’eruzione del Vesuvio del 1794. Giovan Battista Marino morì a Napoli, forse per un farmaco sbagliato, il 25 marzo del 1625.

Fonte: Treccani, Dizionario Biografico


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