Non solo Pompei: storia di altre eruzioni del Vesuvio e di paesi rasi al suolo


Come è noto a tutti, per secoli il Vesuvio non è sempre stato un simbolo di fertilità e bellezza. Sembra quasi strano da pensare d’oggi, ma il nostro è un territorio che porta con sé innumerevoli cicatrici. Delle ferite che sono i segni delle tante eruzioni che si sono accavallate nel corso della storia.

In questo discorso, tutti sono portati istintivamente a pensare al 79 d.C., la famosa eruzione Pliniana. Una Pompei rovente, in balia della forza del vulcano che ne era stato la fortuna economica. Non tutti sanno però che di catastrofi simili ve ne sono state altre, anche non lontane dai nostri giorni. Si fa riferimento alle due eruzioni del 1906 e 1944, le quali sono tristemente ricordate per aver avuto anche le loro “Pompei”.

Mercoledì 4 Aprile 1906. Un’Italia in piena epoca giolittiana sembrava iniziare una normalissima giornata di lavoro. Nei bar tutti parlavano della qualificazione del maratoneta Dorando Petri alle Olimpiadi, mentre nei salotti si discuteva sulle possibilità di Giosuè Carducci di avere assegnato il Nobel per la letteratura. In tarda mattinata, arrivarono però delle notizie agghiaccianti da Napoli. Il Vesuvio aveva eruttato di nuovo, come era successo qualche anno prima. Stavolta però la situazione appariva molto più grave. Il bollettino faceva riferimento a centinaia di morti e altrettanti feriti. Si parlava addirittura di una cittadina (Ottaviano) completamente rasa al suolo dalla furia dello Sterminator Vesevo. Un borgo che la scrittrice Matilde Serao ribattezzò la “nuova Pompei”.

“Tutta la notte sono giunte, di ora in ora, notizie sempre più allarmanti dal Vesuvio: e una gran pioggia di cenere, nell’ alta ombra notturna, ha sempre più agitato le fantasie e oppresso i cuori. La mattinata è così ineffabilmente triste, col suo cielo basso, chiuso da misteriosi vapori, col suo mare immoto e plumbeo, con le vie tutte nere, con un senso ora di ansietà ora di stupore fra quelli che s’incontrano! L’angoscia si fa più intima e più intensa”. Queste le parole della Serao, testimone di un paesaggio quasi apocalittico.

Vi fu quindi una vera e propria pioggia di cenere e lapilli, oltre alle colate di lava. Una tempesta capace di sotterrare l’intero centro abitato di Ottaviano, causando più di 300 morti. La popolazione cercò di mettersi in salvo, arrivando nella frazione di San Giuseppe (attuale Comune di San Giuseppe Vesuviano) e in parte trovando riparo in una chiesa. Ma fu tutto inutile. Le ceneri sfondarono il soffitto e la lava bruciò il portone in legno, uccidendo tutte le 105 persone presenti. La tragedia ebbe una grande eco, tanto da costringere l’Italia tutta a mobilitarsi e a rinunciare ad ospitare i Giochi Olimpici del 1908.

eruzioneAltra eruzione  abbastanza sentita (anche perché è quella dei nostri nonni) è quella del Marzo 1944, l’ultima avvenuta fino ad oggi. Stavolta a raccontare il tutto, anzi a riprendere, non fu Matilde Serao ma le truppe alleate; distrutti invece furono i paesi della costa, non quelli interni.

Come si evince nei filmati degli Americani, i centri maggiormente colpiti furono: Torre del Greco, Massa di Somma e San Sebastiano al Vesuvio. Particolarmente provata dall’evento fu quest’ultima, dove la lava sommerse tutte le abitazioni e il Municipio, causando la morte di 21 persone e costringendo il sindaco a guidare i soccorsi dalla vicina Pollena Trocchia. Solo la Chiesa di San Sebastiano rimase illesa a causa di una deviazione del torrente incandescente. Un evento che ridiede fede e speranza agli abitanti. Del ’44 si ricordano anche i danni ingenti che il Vulcano causò ad una distanza considerevole. Si tratta dei comuni dell’Agro Nocerino-Sarnese, nei quali le ceneri causarono la morte di 130 persone e la distruzione di diversi edifici.

Questi avvenimenti tragici rappresentano pagine nere della storia del nostro amato Monte. Ci mettono in guardia dalle catastrofiche conseguenze, le quali possono derivare dal vivere alle falde di un vulcano attivo. Esse però sono anche la testimonianza di un popolo che, nonostante le distruzioni, si è sempre rialzato e ha ricostruito. Un popolo nel quale il filosofo tedesco Nietzsche vedeva “i prodromi del Superuomo”.

Fonti: San Sebastiano al Vesuvio News; Vesuvioweb


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