Specchio specchio delle mie brame… il suo uso inizia nell’Antico Egitto


Una civiltà che aveva una cura così elevata del proprio corpo non poteva non dare altrettanta importanza ad uno strumento, che se vogliamo, è simbolo di bellezza: lo specchio. Per gli Egizi esso ha sempre ricoperto un ruolo molto importante nel culto della cura del corpo, infatti sono stati diversi i ritrovamenti di questo oggetto, nelle sue fogge più disparate.

Sembra che questo fosse costituito da un disco di bronzo, magistralmente lucidato e sorretto da un manico che come vedremo a breve poteva essere realizzato in varie forme e materiali. A quanto pare la lucentezza della parte circolare dello specchio era strettamente collegata al culto del dio sole Ra, quanto al manico invece, questo aveva le fattezze di un corpo femminile nudo oppure la forma dello stelo del papiro ma in entrambi i casi aveva impressa la teste della dea della bellezza Hator, simbolo dell’ordine cosmico; questo permetteva al suo possessore di mantenere inalterate bellezza e gioia.

Per preservare lo specchio dall’usura del tempo, questo veniva riposto in apposite custodie di legno rivestite di stoffa. Ca va sans dire che lo specchio era parte del corredo funerario, portato con se nella tomba lo specchio aveva la funzione di riflettere e conservare l’immagine del defunto, infatti il nome stesso, ankh, che significa sia specchio che vita, ha un preciso valore simbolico collegato alla nuova vita nell’aldilà, divenendo dunque simbolo di rigenerazione e rinascita.

Se andiamo per associazione di idee, credo che la maggior parte di noi, alla parola specchio associano la parola trucco. Nell’Antico Egitto il trucco ha un maggiore sviluppo anche rispetto alle aree della Mesopotamia. Questa pratica era tanto sentita da assumere addirittura un carattere religioso, infatti come già accennato in precedenza, erano contemplate ben due divinità, Bes e Thot, a protezione della attività cosmetiche. I cosmetici stessi avevano una valenza religiosa, era credenza diffusa che se usati nelle cerimonie di mummificazione e purificazione servissero a ridare la vista al dio Horus. Invece la dea preposta all’arte vera a propria del trucco era, così pare, la dea Seshat rappresentata con una figura dalle sembianze umane con in mano tavolozza e stilo e sulla testa una rosa con sette petali posta al centro di due corna bovine rovesciate.

La sua identificazione quale dea del trucco la si deve probabilmente alla scoperte di alcune scene a carattere religioso dove la si vede ritratta nell’intento di applicare il trucco ad alcuni animali sacri. Ora come allora ogni donna custodiva dei segreti per mantenere il suo fascino, segreti che portava con sé nella tomba; non dimentichiamo che per gli Egizi c’era la continuazione della vita nell’aldilà, con la continuazione di usi e costumi di quella terrena, dunque il corpo era la “dimora dell’anima immortale”. La bellezza fisica della persona non doveva dissolversi con la morte ma veniva idealizzata in funzione dell’immortalità.

Ecco allora che in tombe, rigorosamente dipinte di rosso, colore che pare garantisse la prosecuzione della vita ultraterrena, sono stati ritrovati trucchi, abiti, parrucche e  gioielli. Prima della sepoltura i capelli erano acconciati e se serviva tinti e arricchiti con quelle che oggi chiamiamo extension, i corpi erano ornati di gioielli spesso si usava utilizzarne più di quanti ne si usassero in vita, e legati al ceto sociale di appartenenza del defunto nelle tombe sono stati trovati cofanetti, scrigni con una svariata quantità di creme, oli, unguenti nonché gli strumenti per la loro applicazione. Il tutto a garantire una protezione magica e medicinale.


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