Figli Illustri di Napoli: Antonio Pitloo, il pittore nordico che s’innamorò di Napoli


A lui Napoli ha dedicato una strada situata nel quartiere Vomero. Come mai? Per circa un ventennio attirò nel capoluogo campano artisti, mecenati e nobili che volevano ammirare le opere che lui e gli allievi della sua Scuola avevano realizzato. Nato ad Arnhem nel 1790, Anton Smink Van Pitloo, conosciuto in Italia come Antonio Pitloo, dopo aver frequentato la scuola d’arte nel proprio paese natale (nacque ad Arnhem, in Olanda, il 21 aprile o l’8 maggio 1790) si trasferì prima a Parigi e poi a Roma.

Nella capitale francese conobbe Jean-Joseph Xavier Bideau e Jean Victor Bertin grazie ai quali decise di dedicarsi alla descrizione del paesaggio piuttosto che all’architettura, con cui aveva iniziato. Nella città romana approfondì il vedutismo, genere pittorico che aveva per soggetto vedute prospettiche di città o paesaggi.

Ma la svolta arrivò quando nel 1815, al seguito del diplomatico russo nonché estimatore d’arte Gregorij Orlov, si trasferì a Napoli, dove rimase fino alla fine della sua vita. La città partenopea fu indispensabile a Pitloo per affinare la propria tecnica pittorica e approfondire la ricerca cromatica e atmosferica iniziata già dai paesaggisti nordici Corot e soprattutto William Turner, autore romantico che realizzò lo splendido “Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi”.

“Castel dell’Ovo dalla spiaggia”, Pitloo

Ma perché proprio Napoli? Terra e mare. Coste e isole. Rovine antiche come Pompei, Ercolano e Paestum, e nobili fortezze come Castel dell’Ovo. Miti e leggende. Palazzi, monumenti e oasi verdi. Campagne e soprattutto l’onnipresente ombra del Vesuvio. Qui, un paesaggista aveva tutto ciò che poteva desiderare.

A partire dal 1820 Pitloo fondò la “Scuola di Posillipo”. I più importanti pittori di vedute dell’epoca, circa una quarantina, illustrarono tra il 1820 e il 1860 le bellezze del paesaggio campano, non solo luoghi, ma anche costumi e tradizioni.

Le opere realizzate in questo periodo apparirono esposte nei salotti delle case borghesi e la loro influenza sulla pittura italiana proseguì per tutto l’Ottocento, finendo per imitare le prime fotografie  e cartoline postali. Hippolyte Taine, filosofo e critico letterario francese, scrisse in una sua lettera che percepiva la bellezza di Napoli più attraverso le vedute della “Scuola di Posillipo” che dalla realtà.

Nonostante le riunioni di questi artisti avvenissero nello studio di Pitloo, il suo principale insegnamento riguardò la pittura “en plain air”, opposta alla visione accademica del paesaggio. Massimo rappresentante di questa Scuola fu Giacinto Gigante, al quale si devono paesaggi ad acquerello particolarmente intimisti e malinconici.

“Il boschetto Francavilla al Chiatamone”, Pitloo

Nel 1824 Pitloo vinse grazie al “Il boschetto Francavilla al Chiatamone” il concorso per succedere alla cattedra di Paese dell’Accademia Borbonica di Belle Arti, nata per la prima volta in Italia. Un olio di 44 per 75 centimetri dall’inquadratura del tutto insolita in cui il pittore olandese rappresenta la campagna e gli edifici degradati come se mostrasse un paesaggio lirico ed emozionante.

Più che le strutture che osservava, egli rappresentava nei suoi dipinti la magia che questi sprigionavano. Pitloo non abbandonò il capoluogo campano neanche quando scoppiò l’epidemia di colera di cui fu vittima nel 1837. Per gran parte della sua vita rese Napoli celebre nei suoi dipinti, a sua volta la città lo consacrò come grande autore di paesaggi adottandolo tra i propri figli illustri.

Fonti: Silvestra Bietoletti, Michele Dantini, “L’Ottocento italiano”, Firenze, Giunti, 2002

Pialuisa Bianco, “Wonders of Italy”, Roma, L’Erma di Bretschneider, 2006

Chiara De Capoa, “Arte e turismo”, Milano, Ulrico Hoepli Editore, 2006

Marco Castracane, “Gli italiani e l’arte”, Roma, Armando, 2011


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