Mkhitaryan, l’Inter e il boomerang dell’arroganza: ‘ingiocabili’ a gennaio, umiliati a giugno
Giu 18, 2025 - Redazione Vesuviolive
Certe frasi, nel calcio, possono diventare slogan. Oppure boomerang. È il caso dell’ormai celebre «Siamo ingiocabili» pronunciato da Henrikh Mkhitaryan a fine gennaio, dopo una roboante vittoria dell’Inter sul Monaco in Champions League.
Quelle parole, destinate inizialmente a incarnare un manifesto di forza, hanno finito per simboleggiare l’inizio della parabola discendente di una squadra che, da quel momento in poi, ha smarrito sé stessa.
L’origine dell’autoproclamazione
Il 29 gennaio 2025, al termine del 3‑0 rifilato ai francesi, il centrocampista armeno si presenta ai microfoni di Prime Video e, con la consueta calma lucida, afferma:
«Siamo l’Inter. Se facciamo il nostro gioco, siamo ingiocabili.»
Una dichiarazione che suonava come un inno all’identità ritrovata, figlia di una prima metà di stagione quasi impeccabile, dominata in Serie A e con un cammino europeo solido. Inzaghi e i suoi sembravano destinati a una nuova consacrazione.
Da lì in poi, il crollo
Ma i fatti – come spesso accade nel calcio – hanno smentito le parole. Da quel momento, l’Inter ha iniziato a perdere brillantezza, compattezza e lucidità. La sconfitta in Coppa Italia contro il Milan (contro cui aveva già perso drammaticamente in Supercoppa), l’umiliazione in finale di Champions e il crollo in campionato (Napoli campione) hanno chiuso una stagione che, solo un mese prima, sembrava promettere tutto.
Invece: zero titoli. Un bottino che, in casa nerazzurra, non può che lasciare l’amaro in bocca.
Il concetto di “ingiocabili” si è lentamente trasformato in una zavorra. Ogni passo falso diventava occasione per rispolverare quella parola, con sarcasmo o rimprovero. I tifosi l’hanno presa a cuore all’inizio, ma a maggio era ormai diventata un meme amaro.
Il ritorno sulla frase (e le scuse non dette)
Lo stesso Mkhitaryan, consapevole della risonanza delle sue parole, ha provato a ridimensionare il concetto due mesi più tardi, in aprile, alla vigilia del ritorno dei quarti con il Bayern Monaco:
«L’ho detto perché vedo come lavorano i miei compagni. È il mio pensiero, non un atto di presunzione.»
Parole più misurate, certo. Ma nel frattempo l’Inter era diventata battibile eccome: sconfitta dal Milan peggiore degli ultimi anni e ridimensionata anche in campionato da un Napoli in rimonta.
Da motto motivazionale a frase di troppo
Le frasi dette in buona fede spesso sopravvivono al contesto che le ha generate. Il “siamo ingiocabili” era nato come stimolo interno.
Ma ha finito per suonare come dichiarazione presuntuosa agli occhi degli avversari e perfino di alcuni opinionisti, come Valon Behrami:
«Neanche il Real Madrid direbbe una cosa simile. È un segnale sbagliato.»
Anche Simone Inzaghi, sempre attento a non sbilanciarsi, ha scelto il silenzio su quella frase. Un silenzio che, col senno di poi, suona assenso o forse distacco.
L’ironia del destino: “Ingiocabili” erano gli altri
La parola è tornata in scena anche alla fine, nella sconfitta più bruciante: la finale di Champions persa contro il PSG per 5-0. A dirlo stavolta è stato Acerbi:
«Andavano al doppio… erano ingiocabili loro.»
Il cerchio si è chiuso con un’amara ironia. L’Inter che si era proclamata tale ha dovuto riconoscere l’ingiocabilità altrui. E in quel confronto impari, è venuta fuori tutta la distanza tra un’ambizione e la realtà dei risultati.
Dulcis in fundo, neanche al Mondiale per Club americano la squadra nerazzurra sembra essersi scrollata di dosso quella negatività: all’esordio, gli uomini di Chivu hanno pareggiato per 1-1 contro i messicani del Monterrey, deludendo e rischiando di compromettere già il cammino nella competizione.