Caso Fortuna, aggredito il presunto killer. Parla anche il padre della piccola


Sul caso della piccola Fortuna Loffredo sono tutti della stessa opinione, politica e Santa Sede sono coesi sull’essere severi nel punire l’assassino della piccola di Caivano. Il Ministro Angelino Alfano ha invitato a chi sa qualcosa di parlare e di non nascondersi dietro il muro dell’omertà.

Più duro il parere del segretario federale della Lega Nord Salvini, che ha definito il presunto pedofilo “un verme per cui la galera non basta: castrazione chimica e lavori forzati, fino alla fine dei suoi miseri giorni“. Anche Papa Francesco ha espresso il suo pensiero con parole chiare e forti: “La pedofilia è una tragedia, non dobbiamo tollerare gli abusi sui minori, dobbiamo difendere i minori e punire severamente coloro che commettono gli abusi“. Sul caso è intervenuto anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: “Auspico un’inchiesta rapida, ampia e severa“. Il capo dello Stato non cita direttamente la piccola Fortuna, che molti chiamavano Chicca, parla genericamente di “pedofilia”, ma è alla bimba di Caivano, che è stata uccisa per essersi ribellata alle violenze, che allude. Dure le parole del Padre della bambina che definisce “bestia” l’assassino di Fortuna, e che in un altro Paese lo condannavano a morte.

Intanto in carcere Raimondo Caputo, 43 anni, l’uomo accusato di aver violentato e ucciso la piccola Fortuna Loffredo, di 6 anni, al Parco Verde di Caivano in provincia di Napoli il 24 giugno 2014, è stato aggredito da altri detenuti nella cella in cui si trovava. Lo si apprende dal Procuratore di Napoli Nord, Francesco Greco, che precisa che Caputo “presenta i segni dell’aggressione, ma nulla di grave“. Caputo è stato quindi trasferito in cella di isolamento per motivi precauzionali per la sua incolumità. L’uomo, nell’interrogatorio di garanzia davanti al gip, si era difeso dicendo di non aver ucciso la piccola Fortuna, e di non essere lì quando la bambina è caduta, né di aver mai commesso abusi sessuali.

Le indagini proseguono anche se con difficoltà, infatti i magistrati aversani e i carabinieri si sono trovati di fronte un muro di omertà che ha protetto il 43enne. Non sono stati gli adulti, chi sapeva e non ha parlato, ad aiutare gli inquirenti a fare luce sull’uccisione, di Fortuna Loffredo, lanciata nel vuoto dall’ottavo piano del palazzo dove abitava, il 24 giugno 2014. Sono state le sue amichette a raccontare la tragedia di Chicca, come veniva chiamata Fortuna, e mettere gli investigatori sulla giusta strada con le loro parole e i loro disegni, una volta allontanate dai magistrati dal degrado familiare in cui vivevano. Decisivo quindi si è dimostrato il racconto delle bambine, Raimondo e Chicca sono saliti all’ottavo piano, lui l’ha violentata, lei dava calci, poi l’ha buttata giù. Dall’inchiesta emerge poi il contesto sociale a Parco Verde assimilabile a un vero e proprio quadro dell’orrore: oltre a Caputo, nel corso delle indagini sulla morte della piccola Fortuna, gli inquirenti hanno accertato che anche altri quattro minori dello stesso stabile erano stati vittime di violenze, tanto che tra le fine del 2014 e l’inizio del 2015 un’altra coppia di inquilini era finita agli arresti per pedofilia; tra questi figurava Salvatore Mucci, colui che per primo soccorse Fortuna dopo il volo di otto piani.

Accanto a quella di Fortuna c’è una storia analoga, quella di Antonio Giglio, il bimbo di tre anni figlio della compagna dell’uomo arrestato, a cui, nel 2013, toccò la stessa fine di Fortuna: morto dopo un volo nel vuoto di decine di metri. I due episodi non sarebbero al momento collegati ma sviluppi potrebbero esserci nelle prossime settimane. E proprio il contesto ambientale ha complicato le indagini, tra depistaggi veri e propri e dichiarazioni inventate ad arte. Il primo episodio inquietante è la sparizione della scarpina di Fortuna, di cui si sarebbe resa responsabile, è emerso dalle indagini, l’inquilina dell’ottavo piano, la stessa che subito dopo il fatto negò di aver visto Caputo andare sul pianerottolo con la piccola.

Due inquiline del “palazzo degli orrori”, dove viveva la piccola Fortuna, sono indagate dalla Procura di Napoli Nord per l’ipotesi di reato di false dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria. Fra le persone indagate – si apprende da fonti vicine all’inchiesta – vi è la donna che gli investigatori ritengono abbia raccolto la scarpa persa da Fortuna al momento della morte.


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