È Made in Italy anche quello dei cinesi! Cosa si nasconde dietro quella dicitura


Qualche mese fa abbiamo trattato il tema dell’artigianato della pelletteria napoletana, elencando alcuni brand del lusso che hanno scelto di produrre a Napoli (Altro che tarocco, Napoli sede del Made in Italy: i grandi marchi che producono qui). L’imprenditrice nostrana, Ornella Auzino,social-mente” impegnata nel divulgare l’eccellenza napoletana del settore, ci ha spiegato come nell’immaginario collettivo “Napoli è diventata la casa della contraffazione, nonostante la grande storicità nella lavorazione del pellame.

Ebbene, abbiamo voluto approfondire l’argomento “Made in Italy”, poiché tale dicitura conserva, talvolta, una certa ambiguità e non sempre il prodotto che porta tale scritta conserva tutte le garanzie che l’acquirente si aspetta.

“Il problema del Made in Italy”, ci spiega Ornella, “è strettamente legato alla mancanza di trasparenza: non esiste, per i prodotti artigianali, una certificazione sulla filiera produttiva. Mi spiego meglio.

Vi è l’obbligo, ad esempio, per i prodotti alimentari di specificare la provenienza, quindi l’origine, la zona di produzione e così via. Mentre per gli altri prodotti in commercio, come per esempio le borse, non esiste questo dovere, chiamiamolo così.”

Ma la dicitura “Made in Italy” non implica che è un prodotto “fatto” in Italia?

“No, questo è il punto. Secondo la legge (prevista dal Codice Doganale Comunitario) un prodotto può portare il marchio Made in Italy anche se non tutta la lavorazione è avvenuta in Italia. Ossia, una cintura può essere prodotta all’estero, con materiali non italiani ed essere ultimata in Italia: è necessario che l’ultimo processo di trasformazione sia stato effettuato in Italia. Ma è chiaro che tale processo può essere identificato con l’aggiunta di un accessorio e l’impacchettamento, per esempio.”

Quindi può capitare che la merce che sto comprando porti la dicitura Made in Italy anche se in Italia è stato solo confezionato?

“Sì, può capitare. Non è propriamente legale, ma capita spesso.”

Io consumatore come faccio a sapere “Cosa” sto comprando quindi?

“Non lo sai mai veramente, a meno che l’azienda non decide di essere trasparente, informando le persone.

Il problema è che anche le aziende che producono in Italia non sono sincere con il consumatore: esistono, sul territorio italiano, fabbriche di pelletteria interamente asiatiche: la manodopera è tutta cinese e così i metodi di produzione; pefino la gestione e le indicazioni per i bagni sono cinesi. Ma il prodotto finale sarà Made in Italy. E va anche bene: ma informate sulla vostra produzione!”

Così come chi produce in Italia eslcusivamente con materiali esteri, o chi produce in Italia in fabbriche fantasma, mantenendo i lavoratori a nero e senza alcun diritto.

Questo intendo quando parlo di certificazione: ci deve essere chiarezza, onestà e trasparenza se vogliamo che l’imprenditoria italiana cresca veramente. Chi produce ci deve mettere la faccia, per far sì che la gente si fidi ed è consapevole di cosa sta comprando.”

Perché sostieni che a Napoli si faccia il Made in Italy?

“Io sono cresciuta in quest’ambiente. A nove anni, mentre le mie coetanee erano in cameretta a giocare con le barbie! Io ero in fabbrica ad osservare come venivano fatte le borse di pelle. E mi piaceva. Insomma, rappresentava un pezzo importante delle giornate di mamma e papà.

La mia azienda, come molte sul nostro territorio, è a conduzione familiare. Le conoscenze, la gestione, il rapporto coi lavoratori sono “ricchezze” che vengono tramandate di padre in figlio, per generazioni.

E tu potrai capire come, in tutto questo, non ci sia molto spazio per la manodopera estera; attenzione, con questo non sto affermando che quella cinese, ad esempio, non sia una manodopera efficente ed adeguata: L’attenzione per il lavoro che si svolge è sempre soggettiva e soprattutto legata a come l’imprenditore intende impostare la propria azienda.

Io intendo dire che la nostra manodopera è prevalentemente napoletana, tramandata, di volta in volta, secondo le conoscenze professionali del settore. La storicità del know how per me rappresenta una garanzia e a Napoli la storia della pelletteria è lunga e ricca.

E basta la manodopera napoletana per avere un Made in Italy?

Assolutamente no, anzi. Puoi avere tutta la manodopera più specializzata, ma se non c’è tutto il resto, avrai solo un prodotto scadente.

Il Made in Italy, quello vero, deve essere supportato da un serio lavoro regresso alla produzione vera e propria: parlo della scelta dei materiali, della qualità, della formazione costante sul posto di lavoro, dell’attenzione meticolosa ai particolari e, non ultimo, del profondo rispetto per i diritti dei lavoratori e la loro soddifazione personale.

Cosa diresti, quindi, a chi dice che a Napoli non c’è professionalità, ma solo contraffazione?

A Napoli possediamo la conoscenza, la professionalità, la manodopera qualificata e non ultima, la resistenza alle catastrofi: abbiamo passato intensi momenti di crisi, uscendone sempre perchè, al contrario di ciò se si pensa e si racconta, noi napoletani siamo grandi lavoratori.

I grandi marchi ci hanno scelto per le loro linee da produrre: si sente dire, a volte, che scelgono i terzisti napoletani per i prezzi competitivi. Ma un grande brand non basa tanto la propria produzione sul prezzo, quanto sulla qualità. Nessuno perderebbe la forte identità e il proprio successo per risparmiare qualche spicciolo.


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