“L’Infinito” di Giacomo Leopardi compie 200 anni, una delle sue opere più belle


“Sempre caro mi fu quest’ermo colle” sono trascorsi 200 anni da quando nel 1819 Giacomo Leopardi appena ventenne scrisse l’Infinito, una delle liriche più intense e significative di tutta la letteratura italiana, che ancora oggi sembra non avere età. I versi di Leopardi parlano all’uomo di ogni epoca, e per questo ancora oggi dopo 200 anni questa poesia conserva il suo fascino.

Allo stesso tempo, essa ci parla di mondi remoti e lontani, di un’epoca in cui l’uomo era ancora capace di ascoltare e far propri i “sovrumani silenzi” e la “profondissima quiete”. L’opera verrà pubblicata soltanto nel 1826 negli “Idilli”, quando il poeta non è più a Recanati. Nel 1819, mentre passeggia sul monte Tabor, Leopardi è ancora un ragazzo. Nei lunghi pomeriggi solitari, Leopardi era solito salire sulla cima del colle nei pressi della sua villa di Recanati.

Il poeta visse anche un tempo a Napoli, precisamente a Torre del Greco a Villa Carafa-Ferrigni detta anche Villa delle Ginestre.

In foto: Il monte Tabor nei pressi di Recanati, dove Leopardi trovò ispirazione per l’Infinito.

Un momento di libertà all’aria aperta che diventava anche l’occasione per provare ad uscire anche solo se con l’immaginazione dai confini di una vita provinciale e prestabilita. La siepe a cui fa riferimento nella poesia è stata molto spesso descritta come un ostacolo, ed è proprio grazie alla sua invalicabilità materiale che il poeta trova il desiderio e la forza di guardare oltre. Leopardi guarda col cuore e sente con l’anima tutto l’abisso meraviglioso che si apre innanzi a lui.

Il testo è descritto con parole che nulla lasciano al caso, un susseguirsi di suoni perfettamente coerenti fra loro che restituiscono, quasi ci si trovasse di fronte a quella siepe descritta nel testo. Leopardi riesce a far vivere l’emozione di quel momento e dell’ambiente circostante fino a conoscere i sentimenti interiori del poeta.

Anche dopo due secoli leggendo il testo di questa poesia, è possibile entrare, nella pelle di Leopardi mentre era seduto sulla cima del monte Tabor.

 

Il secondo manoscritto autografo dell’Infinito di Leopardi

L’Infinito – Giacomo Leopardi, Recanati 1819

«Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.»


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