Real Albergo dei Poveri, il progetto che il Comune di Napoli snobba da tempo


Uno degli esempi più drammatici dell’immobilismo partenopeo. Quando si parla del Real Albergo dei Poveri si pensa immediatamente ai suoi primati: “il palazzo monumentale più grande di Napoli”, “la maggiore costruzione settecentesca d’Europa, con una facciata 100 metri più lunga di quella della Reggia di Caserta”. Tutto giusto, per carità. Peccato che le eccellenze suddette siano macchiate da un primato ben più grave: il suo abbandono. Verrebbe allora da chiedersi: che rilevanza può mai avere compiacersi delle preminenze di un palazzo sul cui destino, da tempo immemore, non c’è niente di concreto?

Eppure, quasi ogni anno, la stampa partenopea non manca di dar voce ad improvvisi segnali di ripresa che, come ogni illusione che si rispetti, provocano tanto clamore senza smuovere nulla. Si perde il conto delle proposte fatte per l’Albergo dei Poveri: dalla Città dei Giovani dell’epoca Iervolino, alla realizzazione di uno dei musei più grandi del mondo, il “Louvre Partenopeo” suggerito dalla giunta de Magistris. Senza dimenticare le proposte di un Museo dell’Artigianato e dell’Antiquariato e di una Città della Musica. Risultato: nessuno.

L’ultima notizia ufficiale, relativa all’Albergo dei Poveri, è proprio di questa settimana: il Comune di Napoli e la Cassa Depositi e Prestiti hanno siglato un protocollo per la riqualificazione di quattro strutture partenopee: gli ex Magazzini del Mare, l’ex Manifattura Tabacchi, le Terme di Agnano e l’Albergo dei Poveri. Attendiamo gli sviluppi futuri dell’intesa per comprendere la destinazione del palazzo monumentale di Piazza Carlo III.

Del drammatico immobilismo dell’Albergo dei Poveri sa bene Nicola Perna, presidente dell’Associazione Vigile del Fuoco “Carlo La Catena”, che da oltre 20 anni propone un’idea avventurosa: realizzare nel Palazzo Fuga un polo scientifico d’eccellenza che, al là della destinazione museale, possa imporsi anche come un laboratorio di recupero di opere d’arte e di salvaguardia del territorio nazionale. Il progetto s’inserisce fedelmente nella ragion d’essere dell’associazione, che si propone come epicentro propulsore di idee e di programmi per lo sviluppo del territorio, al fine di creare i presupposti necessari per favorire l’interlocuzione tra cittadini e istituzioni.

Affascinati da questo progetto, abbiamo intervistato Nicola Perna.

Nel 2016 l’assessore Nino Daniele ha proposto di trasformare l’Albergo dei Poveri in un grande museo, descrivendolo come il “Louvre napoletano”. Nel progetto che la sua Associazione porta avanti da molti anni, invece, oltre alla destinazione museale, Palazzo Fuga dovrebbe ospitare un polo scientifico di valenza internazionale. Potrebbe spiegarci meglio quest’idea?

«Napoli è già una grande attrattiva, basti pensare a tutte le ricchezze che si possono ammirare a cielo aperto. Per erigere un altro polo museale, anche il più grande del mondo, è necessario realizzare qualcosa di diverso, qualcosa che sia in grado di ampliare e diversificare il turismo a Napoli attirando persone che si fermano per più di un weekend: solo così possiamo davvero creare ricchezza. Non basta realizzare un’ulteriore offerta museale, perché gli altri musei ne soffrirebbero sotto l’aspetto del cachet. L’idea è realizzare un laboratorio di ripristino delle opere d’arte. In Italia ci sono già due istituti di recupero di beni artistici: l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma e l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Ma ciò che noi proponiamo per il Palazzo Fuga è qualcosa che va ben al di sopra di questi due istituti. Proponiamo di creare un polo scientifico in grado di tutelare non solo le opere d’arte, ma anche il paesaggio italiano, attraverso attività di monitoraggio e salvaguardia del territorio, un luogo in cui si possa studiare il modo per evitare le alluvioni e prevenire i terremoti. Viviamo in un paese in cui anche un piccolo borgo di montagna può offrire reperti unici che testimoniano la nostra ricchezza culturale. Se l’Italia detiene il 70% del patrimonio mondiale delle opere d’arti, perché non abbiamo un laboratorio che ne protegga anche il territorio? Per realizzare ciò, mi piacerebbe che scenda in campo l’Università di Napoli ‘Federico II’ con tutte le sue conoscenze scientifiche. La nostra associazione propone di creare un polo di eccellenza, perché siamo in una città di eccellenze».

Qual è la vostra proposta dal punto di vista culturale?

«Il mio desiderio è quello di mettere in luce un museo del teatro e un museo della musica napoletana. Ogni tanto si sente parlare di “capitale della cultura”, vorrei che si dimostrasse che Napoli è davvero la capitale della cultura. Ci piacerebbe portare al Palazzo Fuga tutte le conoscenze musicali napoletane, soprattutto quelle custodite nel Conservatorio San Pietro a Majella, che ha tantissime opere ancora nascoste che sarebbe bello far conoscere. Abbiamo anche il grande teatro di Totò, Eduardo, Scarpetta, Giuffrè e a me piacerebbe se queste famiglie fossero più generose nei riguardi di una città che ha dato loro ricchezza e fama. La mia idea è quella di dar loro uno spazio affinché ognuno possa esporre i propri cimeli: dare spazio alle opere di questi grandi artisti. Avere l’opportunità, dagli incassi, di reperire degli introiti: non devono regalare nulla. Mi piacerebbe se si riunissero per pensare ad un qualcosa del genere. In quel palazzo, inoltre, si potrebbero riorganizzare le scuole di teatro, i laboratori della porcellana, i laboratori del legno, del ferro e del vetro, riscoprendo tutte le maestrie dell’artigianato napoletano. L’Albergo dei Poveri era il laboratorio dei Borbone, qui si realizzava tutto ciò che serviva alle manutenzioni dei loro possedimenti, noi dobbiamo rimettere in piedi ciò, creando un polo scientifico a 360 gradi, dallo studio all’applicazione. All’interno del progetto c’è anche l’idea di creare una sala d’asta per la vendita di opere d’arte, così da attirare a Napoli persone molto facoltose».

Lei ha più volte proposto di trasformare il MANN in un albergo e di trasferire le sue opere, compresi i depositi, a Palazzo Fuga. Come mai questo progetto?

«Immaginiamo per un attimo di trasformare il palazzo del MANN in un albergo d’arte, eventualmente arricchendolo con dei calchi di statue importanti. L’idea è dare ai turisti l’opportunità di soggiornare in un luogo unico. Anche il MANN è un’eccellenza, è il primo museo dell’archeologia voluto dai Borbone, è anche il primo museo dell’arte egizia, concepito esclusivamente per studiare quel mondo antico, ricco di fascino e mistero, mentre quello di Torino è un museo nato per caso, perché Napoleone stava trafugando opere egizie. Nella nostra proposta, dunque, non intendiamo affatto togliere l’importanza al palazzo del MANN, al contrario, intendiamo conservarla e amplificarla. Rendendolo un albergo unico al mondo, potremmo offrire un introito importante al MIBAC che avrà l’opportunità di recuperare dei soldi da poter investire nel Palazzo Fuga. Inoltre, nell’Albergo dei Poveri mi piacerebbe esporre, oltre ai reperti archeologici custoditi nei deposti del MANN, tante altre ricchezze della nostra città. Parlo delle opere del Banco di Napoli, dei tesori della Curia e delle tante altre ricchezze nascoste della città di Napoli. Penso anche ai navigli romani ritrovati a Piazza Municipio durante i lavori della metropolitana. La proposta di lasciarli nella stazione non mi convince del tutto: se la metro dovesse funzionare bene, non ci sarà tempo per ammirarle. Se invece facciamo una metropolitana che passa ogni quarto d’ora, allora avremmo tutto il tempo per osservarle. Io, però, immagino una metropolitana frenetica, con un treno ogni 5 minuti. Se ci fossero le condizioni di portarle a Palazzo Fuga, perché non considerare tale possibilità? Tra le varie idee c’è anche quella di realizzare nell’Albergo un museo virtuale, dove sarà possibile immaginare Pompei ed Ercolano ed altri siti nel loro antico fascino».

Cosa ne pensa del vincolo sociale che insiste su Palazzo Fuga?

«Carlo III, nel 1700, ha creato il Real Albergo dei Poveri per offrire un supporto alla povertà del suo regno. Parliamo di un periodo di eccellenze per le Due Sicilie: basti pensare alle costruzioni delle opere pubbliche, alle ferrovie, al primo teatro lirico d’Europa, ai primi studi archeologici oltre alle preminenze nell’ambito del tessile e del vetro. La prima scuola di banda musicale nata a Napoli, ad esempio, nasce proprio nel Real Albergo dei Poveri, da qui sono partiti gli orchestrali bandistici che poi sono diventati famosi in tutto il mondo. E’ vero, Palazzo Fuga nasce con un fine sociale. Ma oggi il nostro vero fine sociale non può essere quello dell’assistenzialismo quanto quello di avere una città protagonista e propositiva. L’Albergo deve servire alla città, deve essere una fucina di sviluppo del territorio. Dico questo, perché se si dovesse realizzare l’unità d’intenti tra le varie istituzioni locali e nazionali, realizzeremo un progetto gigantesco, poiché la salvaguardia dell’ambiente al quale prima facevo riferimento, interessa al Ministero dell’Ambiente, al MIUR e al MiBAC, quindi interessa tutti».

Qual è stata la risposta delle istituzioni?

«Il comune riceve puntualmente gli sviluppi del nostro programma ma non abbiamo interlocuzioni. Tempo fa ho fatto anche una richiesta all’assessore Piscopo che detiene la gestione del Palazzo Fuga, affinché possa concederci il mandato per sondare ufficialmente le varie istituzioni nazionali: mi è stato detto di no. La proposta di ricevere un mandato nasce dall’esigenza che ogni volta che ho portato all’assessore gli sviluppi del progetto, mi ha risposto che servono i soldi per la realizzazione. La struttura ha un vincolo di indirizzo sociale, vorrei poter avere la possibilità di un cambio di destinazione d’uso, così da procurare i finanziamenti. Perché è inutile dire che “bisogna cercare i finanziamenti” se non si ha una destinazione d’uso importante per il palazzo. La loro destinazione d’uso risale alla Iervolino, e prevede la realizzazione della Città dei Giovani, un progetto fallimentare già dalla sua elaborazione, tant’è che non è mai decollato. Proprio alla luce di ciò ho scritto, nei primi di gennaio, un po’ a tutti i vari ministeri, nel tentativo di creare quella comunione d’intenti di cui parlavo prima. Sono partito dal presidente del Consiglio e contestualmente ho scritto anche ai ministeri dello Sviluppo, dell’Istruzione, dell’Ambiente, al MiBAC oltre al presidente della Regione Campania e al sindaco di Napoli. Diversi ministri hanno espresso interesse, infatti ho incontrato la dott.ssa Bottoni dello staff di Alberto Bonisoli, ministro dei Beni e delle Attività Culturali. Ha espresso entusiasmo e interesse per il nostro progetto. Ne ho parlato anche con la dott.ssa Delle Vergini, segretaria di Lorenzo Fioramonti, vice ministro dell’Istruzione: anche lei mi ha espresso interesse. Hanno giudicato positivamente la proposta perché la nostra idea di superare le difficoltà di Palazzo Fuga mediante la sinergia di più istituzioni è molto affine agli studi del prof. Fioramonti, che propone di affrontare le problematiche in una visuale d’insieme. Sto per inviare una nuova lettera ai vari ministeri al fine di superare questa visione individuale».

Ritiene che l’immobilismo di Palazzo Fuga possa essere superato?

«Noi ci stiamo lavorando, mi farebbe piacere se i napoletani iniziassero a capire quello che stiamo facendo. Provi ad immaginare il danno del mancato utilizzo di quel palazzo dal punto di vista occupazionale. Indirettamente stiamo pagando delle conseguenze inaudite, perché non funzionando, non funziona nemmeno l’indotto che potrebbe creare. Nel progetto c’è anche la voglia di realizzare un centro commerciale naturale tra il Corso Garibaldi, il Borgo Sant’Antonio Abate e via Arenaccia. E’ un progetto che risale al 1998, quando l’allora ingegner Scattarella diede l’autorizzazione perché lo giudicò un progetto valido, ma non è mai stato realizzato. Lei immagina quanto lavoro potrebbe creare la riqualificazione della zona di Piazza Carlo III? Poi c’è l’atteggiamento delle istituzioni, che non danno risposta a ciò che chiediamo perché è più semplice non rispondere piuttosto che rispondere. Il discorso è che noi cittadini non dovremmo aver paura dei palazzi, al contrario: dovremmo iniziare a interagire, perché l’obiettivo dei politici è proprio quello di tenerci il più lontano possibile dai loro palazzi. Per comprendere ciò, basta fare l’esempio di un condominio. Se noi abbandoniamo l’assemblea condominiale, ovvero l’interesse comune, automaticamente permettiamo all’amministratore di fare ciò che vuole con il nostro palazzo. Lo stesso discorso vale per la nostra città. Io sostengo la democrazia elettiva, ma ritengo che debba esserci pure una democrazia nella quale, quando si capisce che l’amministratore non è all’altezza, deve andar via per non creare maggior danni. Questo serve a capire che qualsiasi politico può essere smobilizzato e non rimanere lì incollato per cinque anni».

Nel Grande Progetto Unesco volto al recupero del centro storico di Napoli, nessun intervento interessa il Palazzo Fuga. Come si spiega questa mancanza?

«Nel 2017 è uscito un articolo per Il Manifesto in cui si legge che è stato proprio il presidente della Regione De Luca ad aver tirato fuori il Palazzo Fuga dai finanziamenti di natura europea ed internazionale. Ad aggravare la situazione c’è anche la lotta tra De Luca e De Magistris. Tutti e due dicono di essere nell’interesse dei cittadini, ma è davvero così? Perché se si fanno delle gare per ostacolarsi a vicenda, non credo allora stiano facendo l’interesse della città. Questa è un’altra situazione palese in cui bisognerebbe intervenire: è possibile che non c’è nessuno che gestisce determinate situazioni? A ciò, aggiungiamoci anche che il problema di Napoli è che tanta gente ha voglia di fare ma teme di giocarsi la faccia. Ci sono persone importanti che mi sono vicino, ma restando nelle retrovie. A me va bene così, continuerò per la mia strada, perché alla base della proposta della nostra Associazione c’è l’idea di dare alle nuove generazioni un polo che preservi la nostra storia, perché il futuro si crea esclusivamente sulla storia. Chi pensa che la storia non sia importante, pensa un po’ alla leggera, perché il passato è un grande tesoro per vivere meglio il futuro».

Per conoscere le attività dell’Associazione Vigile del Fuoco “Carlo La Catena”, rimandiamo al sito ufficiale.


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