Il racconto di Paolo Vincenzo Genovese, professore italiano in Cina: “Quarantena non è segregazione. Tante le donazioni spontanee”


Lo avevamo sentito il 7 febbraio scorso, quando la Cina aveva messo in atto le prime misure per contrastare i casi di coronavirus scoppiati nella Nazione. Paolo Vincenzo Genovese è infatti un attento conoscitore della Cina. Vive da 18 anni lì ed è Professore di Architettura e Foreign Expert in una delle più prestigiose università cinesi e di tutta l’Asia, la Tianjin University. Allora ci spiegò la forza del popolo cinese nel contrastare questo virus, oggi invece ci racconta di come quel popolo è riuscito a venirne fuori. Un popolo che ha mostrato anche tutta la sua generosità e solidarietà verso l’Italia, tendendoci molto di più di una semplice mano.

Professore l’Italia ha cercato di copiare in parte le misure adottate dalla Cina. Lei era a Piacenza e ha fatto ritorno in Cina. Ci può spiegare quali misure stanno adottando ancora oggi e perché è importante per esempio andare in quarantena?

“In questo periodo mi trovo in Cina e ho avuto modo di constatare le differenze e le similarità del caso italiano e di quello cinese. Devo dire che anche se all’inizio l’Italia aveva poca coscienza del pericolo del contagio negli ultimi tempi le cose sono cambiate in modo sostanziale, ed in meglio. L’aumento dei casi e soprattutto il grave numero dei morti, ha fatto sorgere negli italiani un senso di responsabilità molto simile a quello che i cinesi ebbero fin dall’inizio. In questo devo dire che i due paesi si assomigliano molto. L’Italia, con la sua gioia di vivere e il suo caratteristico fatalismo, ha inizialmente preso con ironia la situazione, ma alla fine il buon senso a preso piede e ora devo dire che il confronto tra i due paesi regge con grande dignità. Io penso che l’esempio cinese sia stato importante in Italia perché ha indicato la strada su come comportarci, con razionalità e secondo un metodo basato sulla scienza medica.

In questo momento in Cina la situazione è sotto controllo. Fin dall’arrivo in aeroporto c’è stata grande serietà e meticolosità. Lo sbarco dall’aereo non è avvenuto immediatamente ma siamo rimasti seduti in attesa che chiamassero i nomi secondo un ordine che non so. A ognuno è stato fatto il test della temperatura corporea all’uscita dall’aereomobile, sulla porta, ed è stato registrato il nome. Poi un secondo controllo con una autocertificazione dei sintomi. Quindi ancora il test della temperatura con la camera termica e poi il controllo dei passaporti.

Chi arriva dall’estero non ha la possibilità di tornare a casa, il Governo organizza il pick up al fine di portare le diverse persone alla propria città di residenza, tutto in modo molto sistematico. Noi siamo quindi tornati direttamente a Tianjin dove abitiamo e messi in quarantena in un hotel, pagato dal governo. Tutto era pronto. Le stanze sono semplici ma confortevoli, il cibo viene servito tre volte al giorno. Noi non abbiamo avuto la possibilità di uscire dalla stanza perché siamo stati in stretta quarantena con dottori a nostra disposizione 24 ore su 24. Tutto è estremamente igienico. Al nostro ingresso in stanza c’era acqua in bottiglia, sacchi per l’immondizia, scarpe da camera, e un secchio con delle pastiglie di disinfettante professionale per darci la possibilità di pulire la stanza da soli visto che nessuno può entrare o uscire.

Una cosa importante da sottolineare è che la nostra impressione non è assolutamente quella di essere prigionieri, ma al contrario di essere ben curati. Si deve abbandonare l’idea di essere in segregazione forzata. E’ invece un metodo per cautelare noi e gli altri”.

Dalla Cina è arrivata una equipe medica con 9 esperti, più un carico di aiuti con mascherine, ventilatori e macchinari utili alla respirazione. Inoltre il ministro degli esteri Luigi di Maio ha annunciato un accordo che porterà in Italia 5 milioni di mascherine. I due Paesi stanno collaborando molto e la Cina, a differenza dell’Europa, sta mostrando tutta la sua solidarietà.

“Questo è un tema importante sul quale vorrei fare chiarezza. Gli aiuti dei cinesi stanno avvenendo a diversi livelli. Alcuni sono frutto di una partnership Italo-Cinese, altri fanno parte di una cooperazione economica, e posso assicurare che vi sono anche molte azioni di volontariato. Ne ho avuto testimonianza diretta. Molti cinesi, sia con azioni di donazioni private che anche governative, fanno regali a diversi istituti italiani. I dottori esperti che sono venuti in Italia mostrano un gesto di notevole significato. Sono persone di grandissima esperienza. Potevano non venire e rimanere in patria ad aiutare i loro pazienti, ma sono venuti in Italia rischiando la propria vita. Questo è un esempio che anche l’Occidente fa in diversi paesi.

Ma quello che mi ha colpito particolarmente è che nonostante ci siano stati episodi vergognosi di razzismo per le strade e sui media, verso i cinesi e cosa ancora più assurda verso persone con gli “occhi a mandorla”, i cinesi hanno inviato aiuti, consigli ed esperti. Non sto parlando solo dei macchinari inviati dalla Cina, ma anche delle migliaia di donazioni, generose, piccole o grandi, spesso invisibili, che si stanno attuando.
Questo è un messaggio molto forte che io spero possa essere capito da tutti. Non mi stancherò mai di ripetere che qui non si tratta di una questione politica o culturale, ma si tratta di umanità, benevolenza agli altri, sacrificio, bontà, un concetto che molti hanno dimenticato”.

Come ha già detto noi vediamo solo la punta dell’iceberg ma sono in tantissimi, residenti e non nel nostro Paese, che ci stanno aiutando in modo privato e più silenzioso.

“Sì, le iniziative come dicevo ci sono e sono moltissime, grandi e piccole, private e governative. Sono dettate dal semplice amore dei cinesi verso il nostro paese Italia e verso la nostra gente. Non capisco che ci sia di strano. Non riesco davvero a comprendere perché si veda tutto questo con sospetto. Si tratta di qualcosa che avviene comunemente in natura e si chiama “mutuo appoggio”, con concetto che dovrebbe essere riproposto all’attenzione di tutti.

Ciò che abbiamo fatto la mia famiglia ed io, con l’aiuto economico di molti professori italiani, alcuni che lavorano in Cina, altri in Italia, e insieme a studenti della Tianjin University e Nankai University sempre di Tianjin è stato qualcosa di molto piccolo ma spero utile. Abbiamo donato all’Ambasciata Cinese a Roma 2.450 mascherine che verranno distribuite agli studenti cinesi che studiano attualmente a Roma. È stato poco, pochissimo, ma non siamo riusciti a fare di più. Ed è anche stato difficilissimo. Abbiamo impiegato oltre un mese per racimolare queste cose. Molti ordini che avevamo fatto sono stati ritirati dalle ditte, o non sono arrivati o si sono persi per strada. Colpa del caos generato dall’incremento del contagio in Italia? 
Adesso, al mio ritorno in Cina, vorrei tentare di organizzare qualcosa di più importante. Ma è drammaticamente difficile. Forse non ci riuscirò, ma almeno ci provo.

Io non voglio mettere in mostra quello che faccio per far vedere quanto sono buono o generoso. Non mi curo minimamente di simili cose. Sono stato educato alla modestia e alla discrezione. Dico quello che ho fatto semplicemente per dare un esempio a coloro che possono fare di più e meglio di me. I dati parlano chiaro. Nella sola Lombardia servono oltre 130.000 mascherine al giorno. Se più persone donassero mascherine molti dottori e infermieri non verrebbero contagiati. Faccio un appello. Non fate come me, fate meglio di me!”.

Il Rapporto tra Italia e Cina va al di là dei recenti accordi, come per esempio quello sulla via della seta (One Belt One Road Initiative), ma è ormai consolidato da anni.

“Penso che sia necessario sottolineare un aspetto che molti hanno già ricordato. Quest’anno cade il 50o anniversario dell’apertura delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina. Penso sia un ingrediente fondamentale da tenere in considerazione. Cade anche l’anno della cultura e del turismo. Ora sul turismo purtroppo penso si possa dire poco in queste condizioni così difficili, ma sugli altri due temi qualche riflessione va fatta.

Sulla cultura. Chi come me è impegnato nell’ambito dell’educazione ha chiaro un concetto: al contrario del business, la cultura quando la si offre arricchisce chi la riceve ma non rende povero chi la elargisce. E ritengo che l’atto supremo di cultura sia non la conoscenza libresca, ma il donasi agli altri. Spendere la vita per gli altri è uno dei più alti traguardi che un essere umano possa fare. Quindi se c’è una lezione da imparare da tutta questa tragedia del coronavirus penso che riguardi proprio i tantissimi atti di generosità che sono stati fatti, che ho visto e che ho ricevuto in numero enorme da amici e colleghi, e quel poco che ho potuto restituire con le mie modeste azioni.

Riguardo all’anniversario delle relazioni diplomatiche penso che la tragedia che accomuna Italia e Cina in questo momento sia un banco di prova molto importante. Ancora una volta voglio sottolineare che non parlo di politica di cui non mi occupo, ma di diplomazia che è un’altissima forma di civiltà. Atti di civiltà se ne sono visti molti e penso che i nostri ambasciatori che hanno fatto moltissimo negli anni passati, siano in questo momento impegnati in una delle più importanti sfide della loro carriera. A loro dovrebbe andare tutto il nostro ringraziamento”.

Cosa accomuna Italia e Cina?

“Una cosa che mi ha stupito molto e che voglio rilevare è la sorte comune che ha toccato l’Italia e la Cina. Per questioni di lavoro mi sono trovato a viaggiare in diversi paesi in questo periodo. Ho notato come ci siano fatti sorprendenti che ci accomunino. Le relazioni diplomatiche e culturali tra i due paesi sottolineano molto spesso i forti paralleli tra noi: la cultura, la storia, la tradizione. Ma vorrei aggiungerne altri: la famiglia, l’amore per le cose belle, l’arte, l’architettura, il passato contadino, il buon cibo, la devozione per gli altri, la volontà di aiutare, gli atti di generosità verso i bisognosi, la genialità, l’amicizia. E potrei continuare a lungo. Ma nel caso nel coronavirus siamo dinanzi ad una cattiva sorte comune.

I dati cinesi e italiani sono impressionanti. L’inizio dell’epidemia faceva paura in Cina e ora fa paura in Italia. Ma se guardiamo i dati le dinamiche sono esattamente le stesse. La crescita del contagio è identica, ma con l’aggravante per l’Italia che il tasso di mortalità è più alto poiché la nostra è una popolazione anziana.

All’inizio in Italia si è presa la questione con leggerezza. Ci sono stati video diffusi sui media e su internet dove la gente scherzava e diceva che il buon vino e l’allegria aiuta contro il virus. Non era vero. Ma gli italiani, con la loro naturale intelligenza hanno capito presto che le cose andavano diversamente. Chi come me vive in Cina e viaggia ai quattro capi del mondo per la maggior parte del tempo, sa benissimo che con le malattie non si scherza. È facilissimo ammalarsi ed è molto probabile morire. La vita è molto dura nella maggior parte del mondo. In Italia ed in Europa lo è molto meno. Nulla è dato per scontato e per poter vivere occorre avere massima accortezza e prevedere l’imprevedibile. Sembra un atteggiamento paranoico, ma si tratta solo di esperienza e di necessità.

L’Italia è molto fortunata, ha molte cose bellissime, le persone hanno spesso troppo e questo troppo sembra scontato e sembra dovuto. Io penso che questa situazione abbia reso le certezze dell’Itala e dell’Europa meno solide. La Cina ha imparato molto dall’Italia in questi anni. Ha imparato il senso del bello già molto spiccato in loro, rafforzandolo, ha imparato il senso della qualità che è tipica del nostro paese, ha ritrovato la gioia di vivere dopo decenni di sofferenze. Durante gli anni trascorsi mi sembrava di assistere all’immenso sforzo che l’Italia del dopoguerra fece per risollevarsi dalla distruzione quasi totale del paese.

Certi sacrifici noi ce li siamo dimenticati. Il saltare i pasti per risparmiare pochi soldi da darei ai figli, il lavorare 18 ore al giorno per sette giorni a settimana. Noi lo abbiamo fatto sessant’anni fa. I cinesi lo hanno imparato e fatto da sempre ma ancora di più negli ultimi quarant’anni. Noi adesso ce lo siamo dimenticato e la tragedia del coronavirus ce lo ha ricordato. 

Adesso è l’Italia che sta imparando molto dalla Cina, e sta imparando lezioni fondamentali che renderanno tutti migliori. In questo dico che i due paesi sono uniti. È una semplice questione di comunanza tra esseri umani, tra brave persone, al di là di ogni razza e visione politica che qui non centra nulla”.

Gli italiani, ormai in casa da giorni, hanno trovato un modo per passare il tempo: cantare sui balconi. Tra le diverse canzoni c’è stato anche chi ha intonato l’inno cinese.

“Abbiamo assistito a molti atti generosi sia da parte degli italiani verso i cinesi che viceversa. Io stesso ne sono stato oggetto e ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato. Posso testimoniare per esperienza diretta che senza gli aiuti di molti miei amici sia italiani che cinesi a quest’ora sarei morto. Quello che è accaduto a me sta accadendo a molte altre persone. Sono stato testimone diretto di atti di generosità.

Ed è stato emozionante e bello sentire un sincero “grazie” da parte degli italiani i quali si sono affacciati sui balconi a dire «Grazie Cina!». Alcuni hanno anche messo l’inno nazionale cinese per rafforzare il loro sentimento di gratitudine. E ancora una volta sottolineo che non è un gesto politico, ma un semplice ringraziamento per qualcuno che ci ha aiutato. Del resto il nostro Padre Dante pone in uno dei gironi più bassi e con una delle pene più terribili i traditori dei benefattori, la Giudecca (Dante, Inferno, Canto XXXIV). E se non per timore di Lucifero, ma almeno per amor della nostra cultura, dei fondamenti del nostro bell’Italiano, un ringraziamento era doveroso farlo!”.

Come esempio di solidarietà, il professor Genovese ha deciso, insieme ai suoi studenti, di realizzare un video di incoraggiamento. Studenti che provengono da 18 paesi e parlano 21 lingue diverse, tutti uniti per dire che insieme si può superare questa pandemia.

 


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